La Cour Royale

Posts written by Liselotte von der Pfalz

view post Posted: 28/12/2012, 15:35     La Corte: la vita quotidiana, l'etichetta - Bibliografia
  1. Stéphanie Félicité du Crest de Saint-Aubin, comtesse de Genlis, Dictionnaire critique et raisonné des étiquettes de la cour, des usages du monde, des amusemens, des modes, des moeurs, etc. des Français, depuis la mort de Louis XIII jusqu'à nos jours. Contenant le tableau de la cour, de la société et de la littérature du dix-huitième siècle, ou l'Esprit des étiquettes et des usages anciens comparés aux modernes, Paris, 1818, P. Mongie aîné, libraire, boulevart Poissonnière, n° 18

  2. François Bluche, La vie quotidienne de la noblesse française au XVIII siècle , Paris, 1973, Hachette




Edited by Liselotte von der Pfalz - 7/7/2013, 14:28
view post Posted: 28/12/2012, 15:28     La presentazione a Corte - L'etichetta di Corte


Da Dizionario critico e ragionato delle etichette della Corte, di m.me de Genlis

Presentazione a Corte.
- la presentazione degli uomini della corte consisteva nel cacciare con il re, per conseguenza nel salire nelle sue carrozze, così come nel montare i suoi cavalli a caccia, e nel cenare nei petits appartements. Ogni altra presentazione non costituiva un uomo di corte, pareva singolare che la caccia fosse scelta come segno di questa dignità, ma non era la caccia, era montare nelle carrozze. Come i re cacciavano tutte le settimane a giorni fissi, e tornavano in carrozza con tutti i signori del loro seguito, era stata fissata la presentazione nei giorni di caccia per questa ragione. I presentati non salivano che nelle carrozze del seguito, cosa che dava loro il diritto di salire in quella del re, almeno per rango e nascita. Ma il re non chiamava nella sua che i favoriti, non era una distinzione di nascita, era un favore di scelta. Tuttavia, coloro i quali ricoprivano determinate cariche avevano il diritto di esservi ammessi. Si davano, in occasione della propria presentazione, dieci luigi al primo piquer che presentava il cavallo per cacciare, e dieci al cocchiere che vi riaccompagnava in carrozza; per tutte le altre volte non si dava nulla. Ho dimenticato di dire che gli uomini, il giorno della loro presentazione, andavano a rendere visita al primo gentiluomo di camera, e al grande scudiero.
La presentazione delle donne consisteva, dopo le prove presentate ed esaminate dal genealogista di corte, così come per gli uomini, nell’essere presentate pubblicamente e in cerimonia in grand habit di corte da una donna già presentata; il re e la famiglia reale davano la loro ora e il giorno: era sempre una domenica. Questa presentazione, in grand habit, dava il diritto di salire nelle carrozze del re e della regina, e di cenare nei petits appartements. La vigilia della presentazione, la presentata andava a Versailles con colei che doveva presentarla, per fare delle visite a quelli che si chiamavano gli onori: erano la dama d’onore e la dame d’atour della regina e quelle di Mesdames, e delle principesse sue cognate. Vi si ritornava l’indomani; si erano anche prese delle lezioni di riverenza per la presentazione; si aveva un enorme panier, uno strascico che poteva staccarsi, di modo che lo si potesse togliere quando si rientrava nei propri alloggi: si chiamava bas de robe. Era molto stretto e di una lunghezza smisurata, occorrevano venti o ventidue aune [NdMauro: tra i 22 e i 25 metri, un'auna misura circa 1,12 metri] di stoffa per fare un grand habit senza guarnizioni. La presentata faceva una riverenza vicino alla porta, poi qualche passo e una seconda riverenza, e una terza vicino alla regina; poi toglieva il guanto dalla mano destra, e afferrava il lembo inferiore della gonna della regina per baciarlo; la regina glielo impediva ritirando la gonna, e ritirandosi leggermente lei stessa: l’omaggio era reso, e si rimaneva lì. La regina diceva allora qualche frase cortese, dopodiché faceva una riverenza, che significava che era necessario ritirarsi, cosa che si faceva camminando a ritroso, nonostante lo strascico che si spingeva con destrezza facendo le tre riverenze d’addio. Se la presentata era duchessa, o che senza avere questo titolo avesse comunque il tabouret (cosa che succedeva spesso), non faceva l’umiliante dimostrazione del bacio dell’orlo della veste; era salutata dalla regina e dalle principesse. A corte si chiamava salutare in una presentazione l’onore di presentare la gota destra alla regina, che su questa applicava leggermente la sua. Il re e i suoi fratelli accordavano indistintamente a tutte le presentate titolate, duchesse o meno. Quando la presentata era duchessa o titolata era sempre presentata da una titolata; la regina la riceveva seduta in una poltrona e, dopo averla salutata in piedi, si rimetteva nella poltrona, e si presentavano dei tabourets alla presentata e alla presentante, che si sedevano. Quando la presentata tornava a fare la sua corte poteva andare con una donna non titolata. Quando una duchessa, o una che avesse il tabouret, andava a fare la sua corte al pranzo, l’usciere della camera le presentava un tabouret, salvo che non fosse assieme a una donna non titolata. In questo caso respingeva il tabouret, e restava in piedi al pranzo come tutte le donne che non avevano gli onori, ossia il tabouret. Qui la cortesia sociale aveva la meglio sul rispetto di etichetta, poiché, per riguardo per una parente o un’amica si rifiutava un onore offerto dai principi, che lo trovavano giusto: quest’usanza era universale. Non si portava il grand corps a corte che il giorno della presentazione e il primo anno, e alle feste della corte, tanto che si era giovani; dopo si prendeva la mantilla. La sera della presentazione si andava al gioco di Madame la Delfina o della regina. Là tutte le donne presentate, titolato o meno, erano sedute sui tabouret, e potevano, se lo volevano, giocare al grande tavolo rotondo della regina. Bastava arrivare prima che il gioco iniziasse, e mettercisi quando la regina ci si metteva. Mesdames e le altre principesse facevano nello stesso salone altre partite a parte, non vi si poteva andare se non nominati e chiamati da loro. Quando non si voleva giocare bastava arrivare una volta che il gioco fosse iniziato; allora, dopo aver fatto solamente una riverenza alla porta, si prendeva posto su uno dei tabouret che formavano un cerchio attorno alla tavola, ma si restava fino a dopo il gioco. Quando il gioco era finito, la regina faceva un giro attorno al cerchio, diceva qualche parola a ogni dama, dopodiché faceva una reverenza e se ne andava: ognuno usciva dal salone. Gli uomini facevano parimenti la loro corte al gioco; quelli che non giocavano restavano sempre in piedi, quale che fosse il loro rango, etichetta stabilita per loro dalla galanteria francese. Si facevano lo stesso giorno le presentazioni a tutta la famiglia reale. S’intendeva per famiglia reale il re, la regina, i loro figli, i figli dell’ultimo re, i fratelli, sorella, cognati etc. del re, i nipoti ex fratre, i nipoti ex filio, le nipoti; tutta questa famiglia alloggiava stabilmente a Versailles. I cugini e le cugine formavano i principi del sangue, e vivevano a Parigi; gli si veniva presentati a Parigi, qualche giorno dopo la presentazione a Versailles. Nelle presentazioni alla famiglia reale, si riunivano, oltre a quelli che presentavano, diversi parenti; l’ideale era di avere almeno sei o sette donne; ma nella presentazione ai principi del sangue non si aveva che la presentante. L’una e l’altra erano in grand habit come a Versailles. I principi e le principesse salutavano le presentate, titolate o meno. Ci si sedeva per un quarto d’ora, poi ci se ne andava; le dame d’onore delle principesse riaccompagnavano fino alla porta. Ecco la storia completa delle presentazioni.

view post Posted: 28/12/2012, 14:59     Étienne-François, conte di Stainville, duca di Choiseul - Personaggi

Un vecchio adagio sostiene che si pesca meglio nelle acque torbide, e probabilmente il nostro Étienne-François ne ha fatto una massima di vita.

Fin dal regno di Carlo V la parola d’ordine della Francia era l’abbassamento della Casa d’Austria e, per il solo fatto del trattato di Westfalia, le ambizioni degli Asburgo avevano ricevuto il colpo di grazia. L’opera di Luigi XIV era stata tale da impedire che l’Austria riprendesse la sua vecchia influenza sui territori della Germania, e poco prima che il Gran Re morisse poteva, assieme al marchese di Torcy (allora ministro degli affari esteri), intravedere la pace tra Borboni ed Asburgo. I due veri nemici da temere erano in realtà l’elettore di Brandeburgo, diventato re di Prussia, e l’elettore di Hannover diventato re d’Inghilterra. La nuova generazione, tuttavia, non capì l’ardita innovazione di Luigi XIV e di Torcy, e preferì continuare a considerare gli Hohenzollern come alleati, e la storia dimostra quanto sia stata miope questa visione della politica estera.
Nel 1755 il trattato che sanciva l’alleanza francese con la Prussia scadeva, ed il duca de Nivernais era incaricato delle trattative per il rinnovo. Federico II seppe imbrogliarlo talmente bene che firmò il trattato di Westminster alleandosi con l’Inghilterra senza Nivernais sospettasse alcunché. La sola cosa da fare per la Francia fu allearsi con l’Imperatrice-Regina Maria Teresa, alleanza tanto più necessaria in quanto Federico aveva appena invaso la Sassonia. È l’inizio della guerra dei Sette Anni. Chi mandare a Vienna per perseguire la nuova politica? Un uomo fidato, che fosse conosciuto a Vienna e soprattutto vi fosse gradito. Il ministro degli affari esteri, l’abate de Bernis, pensa immediatamente al suo amico Stainville. I dispacci che Étienne-François manderà da Vienna sia a Bernis sia al Maresciallo di Belle-Isle (all’epoca ministro della guerra) sono quasi una preveggenza delle conseguenze, prossime o remote, delle battaglie e degli errori tattici della Francia, da quelli del maresciallo de Richelieu a quelli del Maresciallo de Soubise. Étienne-François ha una sola idea: quella di riparare alle catastrofi, magari riuscendo anche ad avere vendetta; si muove sia sul lato militare sia su quello della buona intesa con Vienna, e cerca di incoraggiare Bernis che invece vede la Francia prossima alla disfatta; nessuna sorpresa se nel 1759 Bernis lo chiama ad aiutarlo al ministero: le continue lamentele dell’abate stancano la Corte, soprattutto il Re: Choiseul (che nel frattempo è stato nominato duca e pari di Francia) si trova in pratica investito del peso del ministero degli affari esteri tutto da solo. È necessario quindi trovare un uomo assolutamente fidato per l’ambasciata di Vienna, un uomo tale da poter portare avanti l’opera inziata da Choiseul: chi meglio del cugino, César-Gabriel? Riesce a vincere i dubbi di un uomo non più troppo in salute, e ritirato a vita provata da undici anni, dimostrandogli quanto l’ambasciata di Vienna fosse simile al mestiere delle armi che aveva tanto amato. Le sue istruzioni private sono semplici: deve conservare le garanzie imposte dal trattato di Westfalia, ed evitare che l’Austria possa cercare di aggirarle tramite delle alleanze straniere; intanto Étienne-François mette in cantiere il Patto di Famiglia, preparando una stretta intesa con la corte di Madrid: lavoro forse più difficile che tenere a bada l’Austria!

Sul fronte della guerra gli eventi precipitano, le campagne del 1759-60 sono disastrose, e Choiseul incarica di far capire a Kaunitz e Maria Teresa che la partita era persa. Vienna si preoccupava solo di recuperare la Slesia, senza preoccuparsi minimamente delle perdite in uomini e denaro che questo comportava per la Francia; la guerra che gli Inglesi facevano via mare ai Francesi non li interessava, ancora meno la sorte delle colonie francesi di Asia, Africa ed America. Choiseul ritenne opportuno rispondere alle offerte di trattativa fatte dai ministri inglesi al conte d’Affry, l’inviato francese a L’Aia, teorizzando una distinzione sottile tra la guerra marittima che gli Inglesi facevano al Re e quella via terra che la Francia faceva per conto dell’Austria, mettendo anche di mezzo una mediazione del Re di Spagna. Le trattative, cui aderì anche Vienna, si fecero difficili, e divennero lunghe ed estenuanti.
Nel 1759 il re di Spagna Ferdinando VI muore, e il fratello salì al trono col nome di Carlo III: il suo atteggiamento verso la corte di Versailles era tutto diverso da quello di Ferdinando, e Choiseul stimò venuto il momento di realizzare questa alleanza tanto attesa. Il 15 agosto 1761, Choiseul firmava assieme al marchese Grimaldi, inviato spagnolo, il trattato noto come Patto di Famiglia, cui col tempo aderiranno tutti i sovrani appartenenti alla Casa di Borbone. Il ministro inglese Pitt era furibondo, le trattative con Vienna si arenarono, e la guerra riprese, con un cambio di alleanza: la Zarina Elisabetta morì nel 1761, e il suo successore, quel matto di Pietro III, richiamò in patria le truppe russe che combattevano a fianco dell’Austria; che altro aspettarsi da uno che chiamava Federico II “la mia Dulcinea”? Tuttavia Federico era allo stremo, e l’aiuto passatogli da Giorgio d’Inghilterra non era sufficiente a coprire la moria dei suoi uomini e l’enormità dei costi della guerra: da una parte e dall’altra la pace diventava necessaria; finalmente si arriva al trattato di Fontainebleau, firmato dall’Inghilterra e dalla Francia: purtroppo la resa costa alla Francia il Canada e le sue dipendenze, una buona parte del Senegal, l’impero delle Indie e qualche isola delle Antille, per giunta la Louisiana viene ceduta alla Spagna in risarcimento della perdita della Florida.
Altra opera di Choiseul è la riunione della Lorena alla Corona di Francia alla morte di Stanislao Leszczyński, così come l’acquisto della Corsica nel 1768, che permette alla Francia di mantenere una presenza navale nel mediterraneo senza doversi sorbire un’altra guerra. La sua politica di ostilità verso l’Inghilterra continuerà, e andrà fino negoziare un trattato segreto con gli spagnoli, bloccato da Luigi XV che non voleva più saperne di guerra, data la sua impopolarità e conoscendo benissimo lo stato dei conti pubblici. È molto probabile che il Re abbia visto in questo abbozzo di trattato una sfida alla propria autorità, e che sia uno dei motivi che hanno causato la caduta del ministro. La stanchezza stessa di Choiseul può aver giocato un ruolo importante: anni passati a cercare di sventare intrighi e a metterne in piedi altri logorano, e Luigi XV non aveva mai avuto una grande simpatia nei suoi confronti (cosa assolutamente reciproca, del resto) per quanto entrambi si conoscessero abbastanza bene da sapere di avere molto tratti della personalità in comune; uniamo anche l’atteggiamento un po’ troppo tollerante di Étienne-François nei confronti dei magistrati e della nobiltà di toga, ma è bene non trascurare un elemento che caratterizza la sua caduta così come la sua asce al potere: le donne.

Di certo Choiseul ha pensato di rafforzare la propria posizione a corte concludendo in maggio 1770 il matrimonio di Marie-Antoinette con il Delfino, ma il Re, nonostante l’età amava ancora le donne, e consolava la propria vedovanza con le grazie della contessa du Barry, vecchia conoscenza di Étienne-François: nei suoi Mémoires racconta di come una certa Jeanne Bécu de Vaubernier gli chieda un favore per uno dei suoi amici, e sia disposta a tutto, ma proprio a tutto, pur di ottenerlo; Choiseul dice di non aver voluto approfittare della buona occasione in virtù di alcuni “[…]timori ben naturali sulla sua salute […]: insomma, temeva che la Vaubernier avesse quello che in Veneto chiamiamo jeja scavejona, termine che un tipo di malattia che si contrae -di solito in maniera totalmente inconsapevole- facendo dell’allegro zumpa zumpa con un partner occasionale o sconosciuto: il termine indica in sostanza una MTS (malattia trasmissibile sessualmente) qualsiasi, dalla gonorrea all’AIDS (indica anche la sfiga più nera possibile, ma non è questo il caso). La du Barry era una donnina invisa al clan degli Choiseul, specialmente alla duchessa de Gramont, sorella di Étienne-François, che aveva anche lei accarezzato l’idea di poter entrare nei favori del re dopo la marchesa de Pompadour (idea da cui il fratello l’ha prontamente e violentemente scalzata); il partito dei devoti vede nell’ostilità del clan un mezzo di sbarazzarsi del ministro, e attorno alla du Barry si crea una cricca per sostenerla: Richelieu, d’Aguillon e altri cortigiani fanno ala alla favorita. M.me de Gramont crea una serie di scandali pubblici umiliando la du Barry, il re chiede a Choiseul di moderare la sorella, ma non succede nulla: Étienne-François lo fa senza successo oppure se ne astiene, magari prevedendo la caduta e preferendo farla imputare ad un intrigo di donne che far vedere di essere stato trombato da un manipolo di nobili intriganti? Non si sa, sappiamo solo che una lettre de cachet della vigilia di Natale del 1770 gli intima di dimettersi dal suo ministero e ritirarsi nei suoi possedimenti in Turenna; tutto sommato non è un così gran male: se la disgrazia gli costa molto, economicamente, finalmente il duca e la duchessa possono ritirarsi in campagna, a Chanteloup, a condurre quel genere di vita campestre molto lussuosa che si sono costruiti con le loro mani. La dolce Louise-Honorine è rimasta per tutti questi anni accanto al marito frascone, nonostante abbia dovuto subire la oltremodo scomoda presenza della cognata Gramont, che in molti sospettano perfino di avere avuto un legame incestuoso col fratello.

Non che la vita sia noiosa a Chanteloup, in spregio alle speranze di Luigi XV che immaginava Choiseul cadere nell’oblio: balli, commedie, concerti, cortigiani che si disputano l’onore di render visita al ministro decaduto… gli amici son quelli di sempre: il duca di Gontaut, la duchessa di Gramont, l’abate Barthélemy, perfino una nuova amate di Choiseul s’installa al castello, è la contessa de Brionne. Tuttavia questa vita è costosissima, e senza gli introiti principeschi delle sue cariche la situazione economica si fa grigia, nonostante i milioni della moglie; ecco allora andare all’asta i quadri del palazzo di Parigi: 135 opere in vendita, 115 vendute per oltre 440000 livres; Caterina II si aggiudica tre tele (due di Murillo), la du Barry un Van Ostade, ma è il Principe de Conti che si aggiudica la maggioranza, con 61 tele per circa 200000 livres. Altre vendite seguiranno, ma saranno solo goccioline d’acqua in un mare di debiti.

Choiseul spera di ottenere qualche cosa dalla fine dell’esilio, sapendo che Maria Antonietta gli è grata per il suo matrimonio, ma le speranze sono deluse. E allora via che vende i terreni che circondano la sua casa, poi il palazzo di rue de Richelieu, alla fine decide di vendere Chanteloup, ma un anno prima di concludere trattativa con il duca di Penthièvre, Étienne-François muore l’8 maggio del 1785. Lascia dieci milioni di livres di debiti che la moglie, pur essendo separata di beni da poco tempo, tenta di rimborsare fino all’ultimo centesimo. Finirà così di rovinarsi.



Edited by marquise de Créquy - 6/12/2014, 11:43
view post Posted: 28/12/2012, 14:37     Étienne-François, conte di Stainville, duca di Choiseul - Personaggi

Siamo a Nancy, quella che allora era la capitale della Lorena, e mercoledì 28 giungo del 1719 sentiamo un creaturino lanciare il suo primo vagito. Non è bello, non certo con l’occhietto furbetto e un po’ porcello, i labbroni spessi, il naso a trombetta ed il mento che ha una fossetta ma sembra po’ l’osso che sbuca della coscia del pollo; bello no, dicevamo, ma rompipalle si: si tratta dell’intrigantissimo Étienne-François, dapprima titolato conte di Stainville, e poi duca di Choiseul.

Il suo cielo ci lancia degli avvertimenti: un Marte in Pesci afflitto lo inclina all’autoindulgenza, oltre che alla sensualità non troppo regolata, opposto ad un Giove in Vergine che gli aumenta le capacità critiche e d’analisi ma in cambio gli procura la possibilità che i suoi lo possano tradire; l’opposizione dei due pianeti lo porta a strafare, strafare… i rischi di perdite dei beni e di danni economici sono alti, così come quelli di vertenze legali. Una Venere non troppo ben posizionata ne fa un soggetto dispersivo in amore, Mercurio in Gemelli male influenzato da Marte ce lo fa vedere pettegolo, linguacciuto, dispersivo e arruffone negli affari.

Passando dalla carta del cielo a quella dei libri di storia vediamo che il nostro Étienne-François nasce in piena Reggenza, con un clima totalmente diverso da quello del regno precedente: la vecchia nobiltà inizia a rialzare la testa, dopo essere stata debitamente bastonata da Luigi XIV a colpi di etichetta. Il sistema di Law porta un po’ di prosperità, per quanto effimera, e la gioventù di Luigi XV crea speranze per il futuro, ma anche le premesse per la sua ossessione per il proprio piacere… in tutto questo come s’inserisce l’infanzia del piccolo Étienne? Non lo sappiamo bene, perché non ne fa granché parola nei suoi Mémoires: “[…] la mia infanzia e la mia giovinezza sono trascorse come quelle di tutti […]”; dagli archivi familiari sappiamo che la sua educazione fu molto trascurata, e che della sua permanenza nel collegio dei Gesuiti il Nostro conserva un ricordo, oltre che un beneficio, molto mediocre.

La cosa migliore, per lui, fu iniziare la carriera militare a 17 anni, fa le campagne francesi dal 1736 al 1738, e nel 1739 passa al servizio dell’Imperatore. Come aiuto di campo del Duca di Lorena assiste alla famosa giornata di Kreska nella quale gli imperiali si fanno battere dai Turchi. Peccato però che al suo ritorno in Francia scopra di avere perso il giro della giostra: tutti i suoi coetanei sono provvisti di un reggimento, e lui no. Se uno non ha un reggimento, neanche piccino picciò o di scarto, come ammazza il tempo? Leggendo, divertendosi, e seminando epigrammi in giro dappertutto grazie alla sua proverbiale linguaccia. Ma che genio! Giusto per crearsi dei nemici furibondi, come il marchese d’Argenson, ministro della guerra… infatti nel 1741 inizia la guerra di Successione Austriaca, e Étienne-François resta a piedi un’altra volta, d’Argenson è intrattabile e la sola speranza possibile per Stainville è il Maresciallo de Noailles; questi non riesce ad ottenere nulla, perché è necessario vincere troppe prevenzioni, cara grazia se riesce a prendere Étienne-François nel suo stato maggiore. Non che Stainville fosse un codardo, tuttaltro: gagliardo e spregiudicato nel guerreggiare come nel parlare, dà più volte prove di coraggio che gli faranno avere una carriera rapida nonostante l’ostilità delle alte sfere; intanto dalla sua posizione accanto a Noailles riuscirà ad assistere alla famosa battaglia di Dettingen nella quale, per colpa dell’indisciplina d’alcuni ufficiali francesi, Noailles fu battuto dagli Inglesi. Chi porta la rovinosa notizia a Corte? Noailles di certo no, ma ritiene opportuno spedirci Stainville, contando sul suo eloquio e sulla sua oratoria che, si spera, userà a proposito per una volta. Colpo di scena: Étienne-François fa meraviglie, si fa notare per la sua intelligenza vivace e il suo savoir-faire. Gli viene perfino proposto, in via ufficiosa, un viaggio a Vienna per scoprire se e quanto potessero essere pacifiste le vocazioni degli imperiali; lui rifiuta, saggiamente, preferendo aspettare un’occasione migliore per spendere il credito di cui godeva a Vienna.

Torna al servizio militare, dove passa dal servizio del Principe di Conti (battaglia di Charleroi) a quello del Maresciallo Maurice de Saxe, ma senza perdere la sua capacità di inguaiarsi per aver detto una parola di troppo: infatti scommetteva sulle sconfitte dei francesi coi compagni; lo stesso Maurice de Saxe lo deve rimettere al suo posto più di una volta; durante una riunione di ufficiali gli disse: “[…] Monsieur de Stainville, voi avete un bel nome e vi deve attirare della considerazione. Siete alla testa di un bel reggimento, e ve ne attira ancora. Ma dovete a Re fedeltà e riconoscenza. So che linguaggio usate di solito. Se mai vi capitasse di ripeterle, o di accettare una sola scommessa della natura di quelle che fate tutti i giorni, Monsieur de Stainville, ricordatevi bene questo: vi farò marcire in un forte per tutto il tempo che avrò l’onore di comandare le truppe del Re […]”. Étienne-François ricordò la lezione e non marcì da nessuna parte, almeno in quell’occasione: dodici anni dopo, diventato ministro della Guerra, Choiseul doveva ripristinare l’ordine e la disciplina nelle armate reali, le stesse cose che aveva tanto dileggiato in gioventù.

Nel 1748 la pace di Aix-la-Chapelle mette fine alla guerra ed anche alla carriera militare del Nostro, che riprende la sua vita gozzovigliante di dissipazione e piacere; tuttavia, non essendo ricco come il cugino César-Gabriel de Choiseul-Chevigny, duca di Praslin e segretario di Stato per gli affari esteri, si vede assediato dalla rovina, e quindi nel 1750 pensa bene di sposare un mucchio di soldi, personificato nella graziosa e docile Louise-Honorine Crozat de Châtel, nipote del celebre finanziere che colonizzando la Louisiana acquisì fortune immense.

Devota sposa ripagata malissimo, aveva più corna in testa lei di un cesto di chiocciole, sposata minorenne con un marito che non solo le sarà infedele e la maltratterà per tutta la vita, ma che sembra l’abbia perfino violentata, dodicenne, la prima notte di nozze, questo per lo meno secondo la penna di un altro bell’esempio d’integrità morale: Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, quindi è una notizia da prendere abbastanza con le pinze; certo è che il matrimonio di Stainville resterà sterile. Ma che cosa pretendere da un’unione nata solo per sostituzione, come legato ereditario di affetto mancato? Antoinette, moglie di un lontano cugino di Stainville (figlio del Maresciallo de Biron), il duca di Gontaut, era la sorella maggiore di Louise-Honorine, ed anche la prima delle donne cui Étienne-François dovrà la sua fortuna; ne è perdutamente innamorata, e poiché ha la sfortuna di morire di parto alla giovanissima età di 19 anni pensa bene di strappare alla sorellina, di soli 10 anni, la promessa che un giorno futuro sposerà Stainville. Tanto per essere pettegoli, il legame tra la moribonda ed il futuro ministro è tale che tutta la corte sospettava che il figlio fosse suo, non del marito; figlio destinato a far del chiasso abbondantemente per conto suo: si tratta nientemeno che di Armand Louis de Gontaut-Biron, duca di Lauzun, lo stesso dell’affare della piuma d’airone di Marie-Antoinette e generale rivoluzionario ghigliottinato durante il Terrore. Che fare di tutti quei soldi, adesso che se li è sposati? Ma buttarli dalla finestra, ovviamente: in un solo inverno Étienne-François si mangia i ventimila scudi risparmiati dal padre in sessant’anni, i milioni della moglie gli sono più necessari dell’aria che respira.

Nel 1750 scopre che è vacante l’ambasciata a Roma. Gli fa gola, e molto. Per arrivarci riesce a cambiare l’iniziale inimicizia della Pompadour in un legame molto stretto che gli spianerà la strada del successo: vi riesce tramite un affare di donne, come al solito. La duchessa di Choiseul-Romanet, sua cugina, è manovrata da un’altra intrigante, la contessa d’Estrade, perfida amica della Pompadour. Un intrigo inizia, e la Romanet intrattiene una corrispondenza con Luigi XV; Étienne-François pensa bene di impossessarsi delle lettere della cugina e di consegnarle alla favorita, della quale tutto possiamo dire tranne che fosse stupida o irriconoscente. La strada per l’ambasciata di Roma è libera, nonostante Luigi XV gli serbi un enorme rancore per avergli scoperto gli altarini; il Re è sempre inerte e la marchesa è più pressante del dovuto, alla fine Luigi cede e Stainville scrive divertito nei suoi Mémoires: “[…] credo di essere il solo esempio che abbia avuto modo di dare al re la forza di rifiutare al suo ministro quello che non voleva accordarle […]”. Ricordiamoci che Roma è al terzo posto per importanza in Europa, dopo Madrid e Vienna, e un’ambasciata simile è solo un trampolino di lancio per migliori cariche future.

La coppia comitale di Stainville si installa a Roma il 5 novembre 1754, senza alcuna fretta; Étienne-François vi dispiegherà un tale lusso e fasto da annebbiare quello pesante dell’opulenta corte pontificia. La sua entrata trionfale, il 21 marzo 1755, gli costerà oltre centomila livres, e assicurerà alla Francia una grandeur senza pari. Grandeur che Stainville cerca di mantenere sopra ogni limite consentito e oltre ogni pudore. Al teatro Argentina, tradizionalmente, veniva assegnato un palco all’ambasciatore di Francia ma la nobiltà romana aveva ottenuto da Papa che i palchi fossero estratti a sorte. Stainville fece un tale clamore che il Papa gli inviò un camerlengo per cercare di farlo ragionare, e lui chiese nientemeno che la pubblica riparazione ed il palco del governatore di Roma, cardinale Archinto, sottolineando allegramente che “era inutile fare tanto rumore per un piccolo pretucolo quando si trattava dell’Ambasciatore di Francia”. Roma fu obbligata a cedere, e occorse un anno perché Stainville si degnasse di restituire il palco al cardinale Archinto per riprendere quello che da sempre era riservato alla Francia. I rapporti tra lui ed il Cardinale si guastarono, ma non credo sia una sorpresa.
Di bene in meglio, quando morì il cardinale Valenti, allora segretario di Stato, il papa Benedetto XIV Lambertini pensava di rimpiazzarlo proprio con Archinto; Stainville lo seppe, e si precipitò dal pontefice per notificargli la sua nettissima opposizione alla nomina. Il papa fu stupefatto, poi si misero a litigare violentemente tanto che Benedetto, preso Stainville per un braccio, lo sedette di peso sul soglio pontificio gridandogli “Fa’ il Papa! Fa’ il Papa!” e Stainville, senza scomporsi, rispose “No, Santissimo Padre, facciamo ognuno il nostro lavoro: continuate a fare il Papa, e io farò l’ambasciatore”. La collera scese, la nomina fu approvata e Stainville reclamò il favore di poterla comunicare personalmente ad Archinto, aggiungendogli di non esservi estraneo. Archinto fu abbastanza signore da fare finta di credergli, e si dichiarò soddisfatto. Il predominio che Étienne-François pretendeva su tutto ha del bislacco, a volte, o quasi del maniacale. Un aneddoto riporta che un giorno Benedetto XIV abbia visto dalla finestra l’ambasciatore di Spagna fermare la carrozza e scendere per una necessità fisiologica, mentre contemplava rapito il muro del palazzo pontificio. Il Papa gli chiese di lasciare perdere, non perché lo trovasse sconveniente, ma perché il giorno seguente l’ambasciatore di Francia avrebbe preteso far la stessa cosa negli appartamenti pontifici.

L’ambasciata di Stainville non si limitò a queste bagattelle, tornò a Parigi con delle dichiarazioni papali ed un’enciclica che mitigavano la Bolla Unigenitus, lasciando a Roma il ricordo di un’amabile contessa di Stainville, e della grandezza della Francia: “[…] La Francia ha la reputazione di fare molti complimenti, anche promesse ma, di fondo, non fare né bene né male. Ho cambiato, durante la mia ambasciata, quest’idea e credo che assolutamente sia necessario mantenere questo cambiamento, ed il punto di timore o di riguardo cui ho abituato i romani quando è questione degli affari di Francia […]”; è anche vero che scrisse al ministro degli affari esteri “[…] sapeste, Monsieur, com’è difficile far lavorare un Papa e dei Cardinali, sareste stupefatto che un affare del genere sia stato concluso in così pochi mesi […]”



Edited by Liselotte von der Pfalz - 26/12/2015, 09:33
view post Posted: 28/12/2012, 14:30     Marie Leszczyńska, Regina di Francia - Personaggi

Che giorno era il 23 di giugno del 1703? Era un sabato, ma per quello che ci riguarda era un po’ diverso dagli altri, è il giorno in cui nasce una bimbetta bellina e rosea, cicciotella e ben piantata: parliamo di Marie Anne Charlotte Sophie Félicité Leszczyńska, bambinella che da figlia di un re da operetta diventerà nientemeno che regina di Francia.

La faccenda inizia con una singolarità, quasi come se fosse avvolta dalla nebbia della Val Padana: non sappiamo con sicurezza dove sia nata la regina Maria, e non lo sapeva nemmeno Luigi XV che glissò sull’argomento quando scrisse a tutta l’Europa per partecipare il suo futuro matrimonio; l’atto di battesimo di Maria non è pubblicato in Polonia (pertanto non siamo nemmeno certi di chi siano stati i suoi padrini e madrina, vi sono diverse possibilità) e, se la stessa regina dava per certa la sua nascita il giorno 23 giugno, altrettanto non è per il suo luogo natale. Il Padre Anselmo e molti altri genealogisti eminenti non sono né certi né tanto meno concordi su questo; c’è l’incertezza tra Breslau, Poznan e altre località, d’altronde ignoriamo anche la data precisa del matrimonio dei genitori; oggi pare che si preferisca pensare che Maria sia nata a Trzebnica, una piccola cittadina della Bassa Slesia, a pochi chilometri da Poznan.
Il padre è Stanislao Leszczyński, duca di Lorena e di Bar, dopo essere già stato re di Polonia per un breve arco di tempo grazie al sostegno di Carlo XII di Svezia che lo ha installato sul trono a dispetto di Augusto II di Sassonia; la madre è Caterina Opalińska Benz, figlia ed erede di una grande e ricca famiglia polacca. La regina Maria aveva anche una sorella, Anna, più vecchia di lei di quattro anni e morta di polmonite nel 1718.
 
Ai primi di settembre 1704 vediamo diverse carrozze lasciare Varsavia di corsa; a bordo la regina Caterina, le figlie Anna e Maria, la loro nutrice, qualche dama: Stanislao ha fatto evacuare la famiglia per evitare che possa cadere in mano ad Augusto II di Sassonia. Durante una sosta per la notte il piccolo corteo scalcagnato trova rifugio in una fattoria, poi riparte la mattina seguente in direzione della Poznania. All’improvviso si sente un grido provenire da una carrozza: “Abbiamo dimenticato Maria!”; la regina credeva fosse con la nutrice, e viceversa; Maria sarà ritrovata tranquilla e sorridente nella mangiatoia che le serviva da culla; non sembra che questo fatto abbia inciso molto su di lei, visto lo racconterà personalmente a Voltaire che includerà l’aneddoto nella sua Storia di Carlo XII. L’avventura non finisce qui, perché le truppe sassoni avanzano verso la Poznania, e la famiglia di Stanislao scappa verso la Pomerania svedese dove finalmente troverà un rifugio tranquillo: scappa dimenticandosi ancora una volta Maria, che stavolta deve la sua salvezza alla bontà di una contadina che la nasconde in un forno da pane finché non arriva qualcuno a riprendersela.
 
La ritrovata tranquillità permette a Maria di avere il tempo di imparare lo svedese ed iniziare dei brillanti studi di latino, mentre suo padre, più per la testardaggine di Carlo XII che per volontà sua, vede definitivamente franare il proprio trono: alla fine Stanislao troverà rifugio nel ducato di Deux-Ponts (Zweibrücken) che Carlo XII gli assegna a titolo vitalizio; arriverà il 15 luglio 1714 assieme da una manciata di nobili fedeli, “en fort petit équipage, il n’est accompagné que de quatre officiers, ses derniers fidèles” come dice Saint-Simon con la sua abituale sprezzante acidità. Il duca sbaglia, c’era anche il principe Poniatowski, grande amico e compagno d’armi di Stanislao.
La vita a Zweibrücken non è esattamente florida e prospera, il denaro manca per tutto e tutti, nonostante i sussidi versati dalla Svezia agli emigrati e le tasse che Stanislao percepisce in quanto duca; il carattere di Caterina Opalińska si avvelena più passa il tempo: l’ex regina pensa spesso alle enormi proprietà fondiarie che Augusto II s’è precipitato a confiscarle; il palazzo ducale è modesto, e la sua unica consolazione è che per lo meno è casa sua. Stanislao, intanto, controlla personalmente l’educazione delle due figlie: col passare degli anni Anna è diventata una splendida quindicenne, e Maria ad undici anni dimostra delle maniere dolci ed affabili, oltre ad un’intelligenza estremamente viva. Non è bella come sua sorella, ma pazienza.
Tutto sommato per Stanislao gli anni passati a Zweibrücken sono felici, trascorsi tra i suoi doveri di duca, l’educazione delle figlie e i doveri familiari, nonostante la regina Caterina sia spesso d’umore tetro e accigliato e ne esca solo quando si mette a girare per chiese. Un aneddoto divertente ci dice che un giorno, mentre passeggiava da solo in carrozza, Stanislao incontra una zingara che gli predice l’avvenire: “Vedo due corone ed una bara”; Stanislao immagina subito che la prima corona sia sua una volta asceso di nuovo al trono di Polonia, si augura che l'altra sia destinata ad una delle sue figlie, e spera ardentemente che la bara sia per Augusto II.
 
Alla morte di Carlo XII, 11 dicembre 1718, la situazione della corte polacca in esilio precipita: sale al trono di Svezia Ulrica Eleonora, sorella di Carlo, che più o meno gentilmente invita Stanislao a raccogliere armi e bagagli e pedalare verso nuovi orizzonti. Quali? Non sono un problema suo: basta che sloggi da Zweibrücken. Stanislao bussa sia dal Reggente sia dal Duca di Lorena: il secondo gli elargisce una somma una tantum di 30000 livres, per evitare di compromettersi con l’Imperatore, mentre il primo accoglie i polacchi nella piccola città alsaziana di Wissembourg, oltre ad inviare per conto proprio una discreta somma in luigi d’oro. Il denaro scarseggia: Ulrica Eleonora dimezza i fondi che la Svezia passava alla corte polacca, mentre il Reggente versa una somma di 50000 scudi annui, il totale è relativamente misero, molto meno di quello di cui disponevano a Zweibrücken. Stanislao impegna i gioielli della moglie per tirare avanti. Il Reggente, per pura cortesia, distacca a Wissembourg il reggimento del Royal-Roussillon: perché? Perché il colonnello è il cavaliere di Vauchoux, ex compagno d’armi di Stanislao nell’esercito polacco, e l’ex re è deliziato dal ritrovare un vecchio amico; intanto, grazie al Cardinale di Rohan che la famiglia aveva conosciuto a Zweibrücken, vengono stretti dei rapporti anche con la contessa d’Andlau.
Il tempo scorre tranquillo per Stanislao, molto meno per Caterina che è di un umore sempre peggiore e non si consola della morte della figlia Anna; ma Maria? Che cosa fa Maria? Nel 1721, alla soglia dei diciotto anni, non è esattamente quello che si dice una bella donna, ma è fresca, graziosa, sorridente, piacevole. Al pari di suo padre prende la sua situazione molto da filosofa, e accetta quello che il destino le dà, senza peraltro immaginare che possa avere una grande sorpresa ancora per lei. Intanto continua ad estendere la sua cultura, parla e legge perfettamente tedesco, svedese, italiano, latino e francese, lingua della quale vuole scoprire tutte le finezze, e a questo scopo legge Corneille, Moliére, Racine, La Fontaine; suona anche clavicembalo, chitarra e viola: non li maneggia da esperta, ma ama molto la musica.
Nel 1723 il Royal-Roussillon deve partire, ma il colonnello de Vauchoux promette a Stanislao che non si dimenticherà dei Leszczyński, sostenendoli presso il Reggente; il reggimento è sostituito da un altro, il cui colonnello è il marchese di Courtenvaux, nipote di Louvois, ventiseienne bello, ricco e cortese ma che non sostituisce Vauchoux negli affetti di Stanislao.
 
S’inizia a pensare all’avvenire di Maria, il figlio maggiore della principessa di Baden è in età da marito, tanto che la futura margravia è inviata alla corte di Baden per un… periodo d’apprendistato con la futura suocera; ma se la fortuna è cieca la sfiga ci vede benissimo, e nello stesso periodo muore il figlio unico del principe Schwarzemberg, lasciando la sorella erede universale: la principessa di Baden reimballa Maria in tutta fretta rompendo la promessa di matrimonio e precipitandosi a far sposare suo figlio con la ricchissima ereditiera. Per Maria si tratta di un’umiliazione cocente, per Stanislao e Caterina anche peggio, visto che il problema fondamentale del loro ménage è il denaro inesistente, soprattutto adesso che Ulrica Eleonora ha ridotto la pensione che la Svezia versava ai Leszczyński. Immediatamente si fa avanti un altro pretendente, il marchese di Courtenvaux: dopo qualche giorno di riflessione Stanislao lo distoglie gentilmente all’idea, dicendogli che sarebbe meglio che diventasse duca e pari prima di sposare Maria.
 
Siamo nel 1723, il Reggente muore d’infarto, sostituito al volo come Primo Ministro da Monsieur le Duc, guercio, non del tutto a posto col cervello, cattivo, sciocco e tutto sommato un infame; costui all’età di 31 anni si ritrova vedovo della cugina, Marie-Anne de Bourbon-Conti, e un principe del sangue non può restare vedovo a lungo: la sua amante, la bellissima e ancor più intrigante che bella Jeanne Agnès Berthelot de Pléneuf, marchesa de Prie, pensa bene di trovargliene una di proprio gradimento: vuoi mai che la nuova duchessa de Bourbon possa essere sveglia e buttare fuori di casa l’amante del marito? La ricerca ha inizio e, per una serie di coincidenze, la marchesa parla del suo progetto con un amico, quel colonnello de Vauchoux amico di Stanislao, il quale le parla a lungo della situazione penosa dei Leszczyński e di Maria; madame de Prie, che fino ad allora non aveva mai sentito parlare in vita sua di Stanislao e tutto il ba-ta-clan, è incantata dall’idea di accasare il duca de Bourbon con una ragazza che Vauchoux descrive come colta, bella e (cosa che alla nostra marchesa interessa molto più delle altre) docile. Madame de Prie scrive subito a Stanislao iniziando le trattative di matrimonio, spedendo addirittura un pittore a Wissembourg a febbraio del 1725 per fare un ritratto a Maria da far vedere a Monsieur le Duc. Stanislao, che con la morte del Reggente si era visto rovinato, batte le manine tutto contento all’idea che sua figlia stia per diventare principessa del sangue, ma tace: dopo lo schiaffo del mancato matrimonio di Baden è meglio essere prudenti, e Maria non sopporterebbe un altro smacco di quella sorta.
 
Nello stesso periodo, però, la salute di Luigi XV inizia a destare preoccupazioni, e sembra che i malesseri di cui soffre il Re da due anni siano dovuti alla pubertà: ma Luigi XV è fidanzato con una bimbetta che non potrà consumare il matrimonio prima di quei sette od otto anni, e se dovesse per qualsiasi motivo morire senza aver messo al mondo un Delfino sarebbe il figlio del Reggente, Luigi “il Pio” Duca d’Orléans (detto dai Parigini Orléans Santa Genoveffa) a diventare Re di Francia. Ora, Monsieur le Duc preferirebbe la morte piuttosto che vedere un Orléans sul trono, e decide di annullare seduta stante il matrimonio con la piccola Infanta di Spagna e cercare a Luigi XV una nuova moglie in età fertile. Ma chi? Madame de Prie, matrimonialista instancabile, inizia a cercare una regina che le permetta di conservare il proprio potere: il ministero degli Affari Esteri stila una lista di 99 nomi di principesse europee suscettibili di diventare Regina di Francia. Monsieur le Duc e madame de Prie ne eliminano 80, e ai 19 rimanenti la marchesa aggiunge quello di Maria Leszczyńska: la scelta cadrà su lei, e solo su lei, perché la stana coppia stima che la nuova regina sarà loro interamente debitrice della sua fortuna, cosa che nessuna principessa d’alto rango avrebbe mai fatto.
Il giorno 2 aprile 1725, mentre passeggia in carrozza a Wissembourg, Stanislao è felice: Maria sta per diventare Duchessa de Bourbon, e suo genere non lo lascerà a lungo senza mezzi; in quel mentre un cavaliere si affianca alla carrozza, è un ufficiale francese che gli consegna una lettera: Stanislao apre, legge e sviene di botto sui cuscini.
 
L’annuncio delle nozze di Luigi XV con la figlia di un piccolo re spodestato non è accolto bene da nessuna parte, salvo che dai Leszczyński: il clan degli Orléans è furioso, soprattutto pensando che la Duchessa di Lorena, quella Élisabeth-Charlotte d’Orléans sorella del Reggente, aveva accarezzato il progetto di sedere una delle sue figlie sul trono di Francia (progetto che riuscirà, dopo la sua morte, con una nipote: Marie-Antoinette). La nobiltà grida tutta al disastro, alla mésalliance; del popolo, poi, non se ne parla: i pettegolezzi ufficiali arrivano ad accusare Maria d’essere brutta, epilettica, sterile e che più ne ha più ne metta. Ciò nondimeno il matrimonio tra il più bello dei re Borboni e la più dimenticata regina della storia si fa; il 15 agosto 1725 il Duca d’Orléans la sposa per procura nella cattedrale di Strasburgo, con cerimonia officiata dal Cardinale di Rohan, Grande Elemosiniere di Francia; finite cerimonia e feste, il corteo che deve condurre la nuova sovrana a Corte s’imbarca in un viaggio allucinante, tra strade inesistenti, pioggia torrenziale, fiumi di fango e carrozze che si rovesciano, e finalmente Maria arriva a Fontainebleau, dove il 5 settembre sposa Luigi, quindicesimo del nome, per la grazia di Dio Re di Francia e di Navarra. La coppia consuma di corsa, Luigi non aspettava altro del resto, e se è abbastanza facile che una ragazza semplice come lei subisca il fascino della bellezza e dello charme del re, è curioso che anche lui s’innamori in breve tempo della moglie. Nei primi tempi della loro vita matrimoniale sembrano essere stati felici, forse quasi borghesi, in un mondo libertino come la Corte, dove coppie felici come i conti di Tolosa o il duchi de Luynes sembrano perfino fuori luogo e, per certi versi, fuori casta; ma che cos’è che col tempo porterà Luigi XV ad avere un numero impressionate di donne, tra le favorite ufficiali e le ripassatine volanti da “una botta e via”? C’è che Maria, tanto buona, tanto pia, tanto cara, tanto pietosa e tanto colta si rivela essere una zuppa di donna, e manca completamente della perspicacia che le avrebbe permesso di leggere nel cuore del marito. Luigi XV era un uomo abitudinario, un buon padre, attaccatissimo ai figli e sempre molto preoccupato per loro anche se non seguiva troppo da vicino i loro progressi, amava rilassarsi nella calma e nella tranquillità di una cerchia ristretta di amici intimi con i quali poter lasciare da parte tutto l’apparato di Corte, aveva bisogno del calore e della pace domestica che avrebbe voluto trovare assieme alla moglie; Maria, per contro, anche quando non era stata sfiancata da dieci gravidanze, era sempre coperta a triplo strato di scialli, nastrini, mantellette, pizzi neri e altri accessori molto démodé, e spesso ridicoli, che la facevano assomigliare molto, troppo ad una vecchia zitella di provincia. Amava molto la musica, nei suoi appartamenti vi erano spesso concerti che erano quasi sempre rappresentazioni di opera in forma di concerto, estese su più serate. Le sue stanze erano sovraccariche di medaglie, di reliquie, di quadri a soggetto religioso, di libri che le venivano da tutte le parti e che leggeva tutti, vista la sua conoscenza delle lingue; la sua cerchia intima era composta di persone irreprensibili, nobilissime e drogate dall’etichetta ma anche mortalmente noiose. La regina non aveva capito che suo marito aveva un bisogno estremo di avere attorno gente allegra e meglio se fosse stata giovane, di poter vivere tranquillo, senza che accanto a lui ci si accapigliasse per un tabouret o per una pensione: da lei, invece, trovava solo la frangia più grigia della Corte, pertanto andava a cercare la compagnia desiderata altrove, ma in famiglia: o dal conte di Tolosa, suo prozio illegittimo, o dalla cugina, Mademoiselle de Charolais, sorella di Monsieur le Duc: lì conosce madame de Maillly, una donna che assomiglia ad un granatiere più che ad una duchessa, che sa di essere brutta e non cerca di piacere a tutti i costi.
Dopo qualche tempo Maria inizia a ricevere le attenzioni di Luigi solo per dovere coniugale, lamentandosi ogni tanto che dalle cene nei petits apartements le porta solo la confusione l’odore di champagne; il re si separa definitivamente dalla moglie solo nel 1738, in seguito ad un incidente dovuto principalmente alla regina. In luglio del 1738, mentre Luigi era al castello di Compiègne, Maria lo avverte di essere incinta, ma durante una passeggiata a piedi a Saint-Cloud si affatica troppo, e durante la notte succede una cosa che fa capire che questa volta non ci sarebbe stato un altro bambino. Maria ne informa subito il re, omettendo però di dire che i medici le avevano vietato per qualche tempo qualsiasi genere di rapporto coniugale per timore di complicazioni. Quando al ritorno da Compiègne Luigi si presenta per passare la notte con la moglie, questa rifiuta di riceverlo: lui si offende a morte, e da quel momento si ritiene libero e farfallone, pur conservando affetto e rispetto per la moglie. Nel 1744 ci sarà una breve riconciliazione rappezzata, in seguito alla malattia di Luigi XV a Metz, quando il re credeva di essere sull’orlo della tomba, e decide di riparare pubblicamente alle sue mancanze verso il popolo chiedendo pubblicamente scusa e rispedendo a casa la favorita del momento, Marie-Anne de Mailly-Nesle, duchessa de Châteauroux (sorella della già citata contessa de Mailly); ma per citare un detto popolare, passata la festa gabbato lo santo: una volta fuori pericolo Luigi richiama la duchessa, che però morirà di lì a poco di peritonite, e sarà rimpiazzata nel suo incarico -non ufficiale, chiaramente- da quella che sarà la più famosa delle amanti di Luigi XV: Jeanne-Antoinette Poisson, dapprima signora Le Normant d’Etiolles, poi marchesa di Pompadour. Maria è una donna di grande e sincera pietà, e farà celebrare molte messe per l’anima di Marie-Anne, così come vivrà per molti anni in un clima abbastanza disteso con madame de Pompadour (testualmente: “Visto che deve essercene una, tanto vale che sia lei”).
 

La regina non ha mai avuto alcun credito politico presso il marito, e la situazione è stata chiara fin dall’inizio con un fatto successo a dicembre del 1725: quella che potremo chiamare la seconda Journée des dupes.
Il Primo Ministro, Monsieur le Duc, guardava molto preoccupato il favore ed il credito di cui godeva presso il re il Cardinal Fleury, suo precettore; sapendo benissimo di essere impopolare ed appeso ad un filo, nonostante l’aver organizzato il matrimonio del re, un giorno decide di liberarsi di Fleury, con un piano machiavellico probabilmente ideato da madame de Prie, perché il Duca de Bourbon non era né abbastanza fino né scaltro di suo per arrivarci: si tratta semplicemente di irritare ed umiliare Fleury al punto che decida di andarsene, sperando di sfruttare al meglio l’inesperienza della regina e la riconoscenza che gli deve, e che il re, dovendo scegliere tra una moglie fresca fresca della quale è quasi certamente innamorato ed un vecchio precettore non esiti e opti per Maria.
Il 18 dicembre 1725 Bourbon chiede alla regina se accetta di ricevere il re nella sua stanza, dovendo tenere un piccolo consiglio: Maria accetta felice, ignorando che Fleury è sempre presente in questo genere di occasioni, ed essendo dotata dell’acume politico e del senso pratico di una mozzarella in carrozza, non sospetta nemmeno per un secondo che Bourbon abbia altre mire. Luigi, ignaro, si adegua credendo che Fleury arriverà presto, come d’abitudine. Alle dieci del mattino il re e il ministro entrano dalla regina, Bourbon ha dato l’ordine che nessuno li disturbi, e in particolare il Cardinal Fleury; questi è sorpreso di non trovare nessuno nell’appartamento del re, e quando gli viene detto che il re e Bourbon sono dalla regina inizia a sospettare. Dopo un’ora di attesa se ne va, non senza aver scritto una lunga lettera al re, dicendogli che si ritirerà in una delle sue abbazie e preferisce andarsene senza rivederlo; Luigi XV è sconvolto leggendo al lettera, sapendo che quello che lui considera come un padre l’ha lasciato, e in quel modo (Saint-Simon racconta che s’è andato a nascondere sulla chaise percée). Il re non mangia, non caccia, rimane in poltrona stravolto, capendo che la regina si è prestata al gioco. Il duca di Mortemart, primo gentiluomo di camera, interviene suggerendogli di ordinare a Bourbon di scrivere a Fleury implorandolo di tornare. Il primo ministro ha un tracollo di nervi, ma deve obbedire; il re va dalla regina e le spiega che genere di pasticcio abbia combinato, lei arrossisce, si spiega incespicando e Luigi la lascia senza una parola. La sera stessa la lettera di Bourbon raggiunge Fleury, che torna a corte il giorno seguente, sicuro della vittoria. Da questa giornata Maria ricava un timore sacrosanto di dispiacere al re, e negli anni a venire non gli presenterà quasi mai una richiesta, un placet, una domanda che le potesse essere stata consegnata: preferirà consegnarle per via gerarchica, o a Fleury, o a uno dei primi gentiluomini di camera del re.
 

Nonostante quella che possiamo definire mancanza di senso della diplomazia per non chiamarla goffaggine, Maria era tutt’altro che una sprovveduta; non mancava né di spirito di replica né di senso di ciò che le era dovuto; per quanto a suo tempo sarebbe stata felice ed appagata di diventare la marchesa de Courtenvaux non di meno era cosciente del suo ruolo di regina: in questo aveva avuto una parte anche madame de Prie, standole accanto all’epoca del matrimonio, e facendole imparare le genealogie delle famiglie più importanti, l’etichetta di Versailles ed i misteriosi quanto inestricabili legami di sangue e di potere che muovevano la pachidermica macchina della Corte di Francia; Maria non s’è mai fatta scrupolo nemmeno di modificare quella sacra legge che regolava ogni minimo gesto della vita di Corte, dando qualche colpo per alleggerire l’etichetta in quanto attribuisce poco peso a certe distinzioni, a gran disdoro di personaggi come Saint-Simon: quando Maria manderà dei semplice paggi a convocare le persone che le hanno chiesto udienza, invece di farli scortare dal cavaliere d’onore o dal suo scudiero, il nostro duca è allibito: […] Non è certo più regina della moglie di Luigi XIV, né del resto è di così buon lignaggio […]. Sa comunque come farsi rispettare, la vediamo un giorno rimbeccare una duchessa che, fingendo di dimenticare il divieto di appoggiare checchessia sui mobili della stanza reale, si inventa di mettere la sua pelliccia foderata di satin bianco su uno dei tabouret posti accanto al letto della regina: un valletto la prende e la deposita su una panca nell’anticamera. La regina aveva un gatto, questi salta sulla pelliccia, ci si rigira un po’, ci si sistema felice e la trova adattissima da usare come lettiera. La duchessa scopre il misfatto, torna da Maria e la apostrofa abbastanza con veemenza: “Guardate, Madame, l’impertinenza dei vostri servi, che hanno buttato la mia pelliccia sua panca dell’anticamera dove il gatto di Vostra Maestà l’ha ridotta in questo stato!”. Maria, senza scomporsi, le risponde:“Sappiate, signora, che voi avete dei servi, e io non ne ho. Ho degli ufficiali della mia camera che hanno acquistato a caro prezzo l’onore di servirmi; sono persone bene allevate ed istruite, e non ignorano che, scelta tra i più grandi del regno, voi dovreste essere accompagnata da uno scudiero, o almeno da un valletto, che riceverebbe da voi la pelliccia, e che osservando le forme che si convengono al vostro rango non vi sareste esposta a vedere i vostri effetti gettati su una panca dell’anticamera”.
 
Il matrimonio è molto fertile, viste anche le assiduità di Luigi XV, sebbene su dieci figli otto siano femmine, e il tanto sospirato erede al trono si faccia aspettare parecchio.
Il 14 agosto 1727 è la volta di un parto gemellare: Marie Louise Élisabeth (morta il 6 dicembre 1759) e Anne Henriette (morta il 10 febbraio 1752) danno l’inizio alla lunga serie di Mesdames col numero, saranno chiamate Madame Première (poi Madame Infante per il suo matrimonio con l’Infante Don Filippo di Borbone-Spagna, poi Duca di Parma) e Madame Seconde (Madame Henriette, poi solo Madame); a queste si aggiungeranno Madame Troisième (Madame Louise, 28 luglio 1728 - 19 febbraio 1733), Madame Quatrième (poi Madame Troisième, dopo Madame Adélaïde, poi di nuovo Madame e per finire nuovamente Madame Adélaïde, 23 marzo 1732 – 27 febbraio 1800), Madame Quatrième (poi Madame Victoire, 11 maggio 1733 – 7 giugno 1799), Madame Cinquième (poi Madame Sophie, 27 luglio 1734 - 2 marzo 1782), Madame Sixième (poi Madame Thérèse, 16 maggio 1736 - 28 settembre1744) e per finire Madame Septième (poi Madame Louise, la suorina più intrigante di Francia, 15 luglio 1737 - 23 dicembre 1787); e i maschi? Il Delfino arriva come quartogenito, quando già tutta la Corte parlava dell’incapacità di Maria nel generare un maschio alla Corona: il 4 settembre 1729 nasce Louis-Ferdinand, che sarà il padre degli ultimi tre re di Francia: Luigi XVI, Luigi XVIII e Carlo X. Il Delfino morirà di tubercolosi a Fontainebleau il 20 dicembre 1765. Il fratello minore, titolato alla nascita Duca d’Anjou avrà vita breve: nascerà il 30 agosto 1730 e morirà il 7 aprile 1733.
 
La regina Maria trascorrerà con calma gli ultimi anni della sua vita a Corte, attorniata dalla sua cerchia di amici fedeli, un po’ spenti ma molto rispettabili (tanto per fare un esempio, nel solo anno 1748 cena la bellezza di 198 volte dalla duchessa de Lyunes, sua dama d’onore, senza contare le sere in cui vi si reca dopo aver cenato), e dedicherà il suo tempo alle sue passioni: la musica e la pittura, divenendo una mecenate, aiutata in questo dalla sua seconda nuora, la Delfina Maria Josepha di Sassonia: ecco che vediamo a Versailles Farinelli nel 1737 ed il piccolo Mozart nel 1764, così come Voltaire ricevere una pensione direttamente dai fondi personali di Maria, o Carlo Goldoni istruire le Mesdames.
 
Maria muore il 24 giugno 1768, a Versailles, sopravvivendo di soli due anni e mezzo a suo figlio il Delfino Luigi Ferdinando, morto di tubercolosi poco prima del Natale del 1765. Sarà sepolta nella Basilica reale di Saint-Denis, come si conviene ad una Regina di Francia, mentre il suo cuore è spedito a Nancy, nella chiesa di Nôtre-Dame-de-Bonsecours, in un piccolo monumento accanto al mausoleo di Stanislao Leszczyński. 



Edited by Liselotte von der Pfalz - 16/11/2014, 23:25
view post Posted: 28/12/2012, 14:19     Philippe II d'Orléans, il Reggente - Personaggi

Siamo nel 1674, e giovedì 2 agosto è un giorno di luna nuova. La luna nuova è il principio di un nuovo ciclo di vita, ricco d’energie, ma che in sé nasconde il rischio di una loro eccessiva espansione, in breve di strafare e usare in modo malaccorto le proprie potenzialità. Giustappunto in questo giorno al castello di Versailles nasce bel bimbetto, sano, robusto e grassottello, dal destino assolutamente inusuale: parliamo di un nipotino di Luigi XIII, del figlio di Monsieur Philippe, fratello di Luigi XIV, e della sua seconda moglie, Élisabeth-Charlotte von der Pfalz Simmern; parliamo di colui che traghetterà la Francia attraverso una serie di guai alla morte di Luigi XIV fino alla maggiore età di Luigi XV: parliamo di Philippe II d’Orléans, titolato alla nascita Duca di Chartres, poi alla morte del padre d’Orléans, di Nemours, di Montpensier, di Valois e signore di svariate altre terre.

Fin dalla nascita Philippe ha una posizione per certi versi invidiabile, è l’erede maschio a lungo voluto da Monsieur e dal Re; l’erede vivo e vitale, intendiamoci: gli altri due maschi che lo avevano preceduto sono morti tutti in età inferiore ai tre anni. Non che il padre amasse i bambini, gli serviva solo un maschio per poter dire di aver compiuto il suo dovere dinastico, e dopo la nascita della sorella minore del nostro Philippe (chiamarlo Filippetto forse sembrava brutto, ma tanto per distinguerlo dal padre avrebbero anche potuto farlo) Monsieur e Madame decidono di comune accordo di chiudere bottega e smettere la commediola dell’atto riproduttivo. Lei, placida e serena, si darà alla prorompente corrispondenza con i parenti e con mezza Europa; lui, acido come poche, continuerà a correre dietro a qualsiasi maschio lo tratti male e a trattare male questa moglie esattamente come faceva con l’altra.

In virtù della sua posizione nella famiglia reale (è un Nipote di Francia ed è de iure il Primo Principe del Sangue) sarebbe anche potuto salire al trono (è pur sempre il sesto in linea di successione, dopo il Gran Delfino, i suoi tre figli Duchi di Borgogna, Anjou e Berry, e Monsieur), Philippe riceve un’ottima educazione, segnatamente grazie agli sforzi della madre, che solitamente prende poco parte alla vita di Corte, ma dà letteralmente in escandescenze quando viene a sapere che il marito vuole dare per precettore al figlio uno dei suoi amichetti: il proprio primo scudiero, Antoine Coëffier-Ruzé, marchese d’Effiat, nipote di quel tale Henri Coëffier-Ruzé, marchese di Cinq-Mars, Grande Scudiero di Francia, amante di Luigi XIII che finì decapitato per aver complottato contro il cardinale de Richelieu: insomma, tutto in famiglia. Liselotte tirerà giù anche i soffitti affrescati del castello a furia di gridare, ma riuscirà ad evitare al figlio il pericolo che d’Effiat lo trasformi in un “asino ignorante e sodomita”; Philippe avrà per precettore un altro losco figuro, l’Abate Guillaume Dubois che, col tempo, diventerà cardinale e Primo Ministro; Filippetto non era certo un tipo rancoroso, tanto che il marchese d’Effiat, vecchio come il cucco ma estremamente vitale e strarompi come sempre, diverrà membro del consiglio di reggenza durante la minore età di Luigi XV.

Phlippe è molto intelligente, ha una mente molto vivace, incredibilmente curiosa e desiderosa di imparare, oltre che servita da una memoria prodigiosa (tale e quale la memoria da elefante dello zio Re). In quanto membro della famiglia reale riceve un’educazione molto curata dal punto di vista politico, militare e diplomatico, ma la sua natura lo porta a padroneggiare storia, geografia, filosofia e le scienze tra cui la fisica e la chimica. Non eredita il talento di cavalcare e cacciare né dal padre né dalla madre né dallo zio, così come resterà tutta la vita un ballerino mediocre (un brutto handicap a Corte, dove tutti sono ballerini perfetti, a partire dal Re); ha però un più che discreto talento musicale (collaborerà al libretto ed alla composizione di due opere liriche), è un bravo pittore ed un eccellente incisore.

Nel 1691 Philippe va in guerra al fianco di Luigi XIV, in una campagna nei Paesi bassi: Mons è il battesimo del fuoco per il nipote del Re, incarico nel quale si distingue con ardore e perizia; è amato dalla truppa e dagli ufficiali, è un buon tattico e non esita ed esporsi in prima linea, così come faceva suo padre; negli anni successivi si distingue con onore a Steenkerque, Neerwinden e Namur. Mal gliene incoglie, perché oltre ad attirarsi le gelosie degli altri Principi del Sangue, mette sul chi vive anche Luigi XIV, il quale non ama troppo che i suoi consanguinei più stretti si coprano di gloria e gli rubino la scena: un po’ perché è orribilmente tronfio e presenzialista, un po’ perché si ricorda benissimo che tanto suo zio Gaston d’Orléans quanto suo cugino il Gran Condé gli si sono rivoltati contro a diverse riprese, e preferisce stroncare certi rischi prima che nascano.

Il Re Sole ha generato una piccola tribù di bastardi con diverse donne, e pensa bene di accasarli tutti con le migliori possibilità: del resto sono figli del Re, e quindi chiunque se li dovesse ciucciare dovrebbe anche chiamarsi contento, almeno secondo lui. Ha già sistemato la prima Mademoiselle de Blois, Marie-Anne, con il cugino Louis-Armand de Bourbon, Principe de Conti (figlio della nipote di Mazarino, Anna Maria Martinozzi, e del fratello minore del Gran Condé): unione infelice, lui è omosessuale e se la spassa col terribilissimo principe Eugenio di Savoia-Carignano, figlio di un’altra nipote di Mazarino, quell’Olimpia Mancini ex-amante volante del Re e implicata nell’Affare dei Veleni. Lei, sposata a tredici anni, viene forse sverginata dal cognato, e probabilmente con violenza, ma non si sa di preciso.

Nel calmiere dei bastardi rimangono i figli della marchesa de Montespan: pescando tra i cugini Principi del Sangue, nel 1692, il Re piazza Luois-Auguste duca du Maine con la nipote del Gran Condé, una nana vanesia e cattiva come il veleno, degna consorte di un infingardo cialtrone. Nel 1685 aveva già appioppato Louise-Françoise, Mademoiselle de Nantes al fratello della precedente nana, Louis III de Condé, tanto brutto (e probabilmente toccato nel cervello) da essere chiamato “La scimmia verde”; almeno questo ha la buona grazia di morire presto, e lasciare la vedova a consolarsi di brutto con qualsiasi maschio le passasse a portata di tiro. Al Re rimane in tasca la seconda Mademoiselle de Blois, Françoise-Marie, spirito bacato quant’altri mai, vanagloriosa, pigra, anche cattiva, in costante lite con la sorella Louise-Françoise per la quale nutriva un odio furibondo ed ampiamente ricambiato.

Ora, Philippe non era così ben messo come si potrebbe supporre: la Francia era in guerra con praticamente tutto il mondo, quindi un matrimonio con un principessa straniera era escluso a priori; Luigi XIV stava cercando di innalzare i suoi bastardi a scapito degli altri membri della famiglia, e Philippe aveva commesso l’errore di mettersi troppo in vista con la carriera militare. Volente o nolente gli toccò in sorte la pestifera, quella che nessuno voleva, e che Madame definisce “uguale come due gocce acqua a un culo”, quando vuol essere gentile. L’ordine gentilmente mascherato da proposta fu dato dal Re a Monsieur, che assieme a Liselotte fece un can can d’inferno per non doversi imparentare con una bastarda figlia di un duplice adulterio, lui che era di sangue reale fin sopra le orecchie. Poi, Luigi decise di richiamare dall’esilio di Roma l’amante storico del fratello, lo stesso che aveva probabilmente avvelenato la precedente Madame, il Cavaliere di Lorena, che s’incaricò di far accettare il matrimonio disonorevole a Monsieur mediante una enorme somma di denaro per i propri servizietti. Nello stesso tempo si agì anche tramite l’abate Dubois perché facesse acconsentire anche Filippetto, e questo è uno dei punti deboli del carattere del Reggente: non ha mai saputo dire di no a nessuno, era di buon cuore ma con nessuna fermezza di propositi. Il tutto fu tramato alle spalle di Liselotte, chiaramente, la quale reagì con dignitosa furia quando l’annuncio del matrimonio venne dato nell’appartamento della marchesa di Maintenon (la moglie morganatica del Re, ed ex balia dei suoi real bastardi): Saint-Simon ci dipinge una scena memorabile con Madame che prima, piangendo come una fontana e senza dire una parola, rifila una sberla al figlio da far rimbombare tutta la stanza, e poi se ne va, girandosi a tempo davanti al Re che le s’inchinava, tanto da mostrargli il suo ampio didietro mentre lui rialzava la testa.

Pur detestandosi molto cordialmente a vicenda, i due sposi riescono comunque a fabbricare la bellezza di sette figlie ed un figlio, nessuno dei quali avrà un destino tranquillo.

Il Re non ama molto il nipote, lo esclude dai grandi impieghi, dalle grandi cariche e dall’esercito. Philippe si annoia, e va a donne per distrarsi: già a quattordici anni aveva avuto la figlia di un domestico del Palais Royal, ma il suo grande, unico e vero amore sarà per Marie Louise Le Bel de La Boissière de Séry, alla quale regalerà la terra di Argenton quando saranno costretti a lasciarsi per ragion di stato, anche se Philippe sognava di poterla un giorno sposare.

Oltre alle donne scopre anche dei passatempi che forse avrebbe fatto meglio ad evitare, perché gli costeranno molto caro: la chimica, da questa l’alchimia e l’esoterismo. Già il fatto che non fosse un bacia banchi, sotto il regno della Maintenon, lo escludeva ancora di dall’affetto del Re; aggiungiamoci che per puro gusto di provocazione, e con una robusta punta di ingenuità, faceva l’empio: gli costruirà la fama del cospiratore e dell’avvelenatore, sospettato da tutti, a partire dal vecchio Re, di avere avvelenato i membri della famiglia reale per arrivare la trono. A queste si aggiungeranno le accuse di incesto con la figlia, la Duchessa de Berry, giusto per non fargli mancare nulla. Il Re pensa bene di fargli saltare anche la remota possibilità di poter salire al trono di Spagna e perfino di soffiargli la Reggenza, testando in favore del figlio bastardo duca du Maine. Nel marasma, Philippe ha sempre avuto un buon amico nella perdona del memorialista Louis de Rouvroy, duca di Saint-Simon, che ha sempre disapprovato la sua condotta libertina e ha fatto di tutto per cercare di trascinarlo sul sentiero della moralità dell’epoca. Invano.

Luigi XIV muore il primo settembre 1715, e la reggenza spetterebbe di diritto a Philippe come maschio adulto più prossimo al giovane Re, un bimbetto di quasi cinque anni. Il testamento segreto del Re, però, cerca di limitarne il potere, associandolo ai figli legittimati, cui era stata data da poco la possibilità di accedere al trono, e dando l’educazione di Luigi XV al duca du Maine.

Philippe riesce a far cassare il testamento dal Parlamento, in cambio del diritto di rimostranza che Luigi XIV gli aveva tolto e, eliminato il cognato Maine, diventa Reggente a tutti gli effetti.

Il suo compito non è per nulla semplice, deve ridare vita ad una Francia dissanguata dalle guerre, ad un’economia asfittica, ridurre un debito pubblico a dir poco mostruoso, calmare un po’ le diatribe religiose e cercare di non essere defenestrato da nessuna delle fazioni avverse su cui si appoggia.

La sua idea è quella di riorganizzare il sistema fiscale per arrivare ad una tassazione più equa e più semplice, inoltre vara un sistema di governo chiamato Polisondia, probabilmente da un’idea di Saint-Simon: rimpiazza i ministeri con dei consigli composti da tecnici e nobili e notabili, i cui capi formano il Consiglio di Reggenza.

Persegue l’abbassamento dei bastadi reali, va in guerra contro la Spagna di Filippo V, il quale sta tramando di rovesciare la reggenza per assumerla lui stesso o eventualmente tornare sul trono: la duchessa du Maine animerà con la complicità dell’ambasciatore di Spagna, principe di Cellamare, una congiura per renderlo possibile. Congiura che viene fortunatamente sventata dal cardinal Dubois nel 1718; la Quadruplice Alleanza (Francia, Austria, Inghilterra e Paesi Bassi) dichiara una guerra alla Spagna che finirà nel 1720 con la sua sconfitta.

Il Reggente introduce il sistema di Law, sostanzialmente basato sulle banconote, che si dimostrerà un fallimento, soprattutto grazie al cugino Monsieur le Duc e a alcuni altri grandi del regno, che faranno azioni di arricchimento tali che da portare rapidamente la banca di Law alla bancarotta, dalla quale lo Stato si salva appena. Non per aiuto divino, certo, ma per un concorso di fattori: primo tra tutti il Cardinale Dubois, che pur essendo un po’ subdolo, è un grande uomo di governo, ed un ottimo Primo Ministro; la stessa mancanza di opposizioni valide fa sì che il governo rimanga traballante ma non cada, nonostante gli incendi, la peste di Marsiglia, e la bancarotta di Law.

Chiaramente il popolo imputa le disgrazie ad una sorta di punizione divina nei confronti del Reggente, che per tutta la vita non ha mai cambiato il suo genere di divertimenti, per così dire gagliardi. Tute le sere, al Palais Royal hanno luogo le sue cene con i suoi amici, i roués (letteralmente: gli arrotati, potremmo anche chiamarli pendagli da forca); i racconti che circolano su questi festini sono prevalentemente a tema orgiastico, Philippe finiva sempre per ubriacarsi profondamente, ma la mattina dopo era lucido e perfetto pronto al lavoro; in nessun caso la sua vita privata crapulona gli farà tralasciare i suoi doveri verso la Corona e lo Stato, e nessuno riuscirà mai a carpirgli un accenno agli affari della Francia durante i suoi souper.

Il 25 ottobre 1722 Luigi XV è consacrato Re di Francia ed assume il potere in prima persona; il cardinale Dubois è confermato Primo Ministro, ma muore nel successivo mese di agosto; Philippe chiede per sé il posto di Primo Ministro, il Re glielo accorda volentieri perché gli è molto affezionato; è il primo caso di un Nipote di Francia che assuma un ruolo simile.

Philippe lavora alacremente, ma la salute non lo aiuta : il suo stile di vita lo ha fatto ingrassare molto, il suo colorito è sempre più rosso, e soffre di frequenti sonnolenze; il 2 dicembre 1723 morirà di apoplessia, come il padre, tra le braccia della sua ultima amante, madame de Phalaris.



Edited by Liselotte von der Pfalz - 1/1/2016, 01:12
view post Posted: 28/12/2012, 13:36     François-Timoléon de Choisy - Personaggi

François-Timoléon de Choisy (Parigi, 16 agosto 1644 – ivi, 2 ottobre 1724), fu un letterato, membro dell’Accademia di Francia, un religioso, ma soprattutto un personaggio molto strano.

François nasce in una famiglia bene inserita nella società del 17mo secolo: suo nonno era un ricevitore generale delle finanze di Caen, che Tallemant des Réaux ci dice essersi arricchito in maniera non troppo trasparente; suo padre Jean de Choisy era consigliere di Stato, intendente di Linguadoca e cancelliere di Monsieur Gaston, fratello di Luigi XIII; ma la persona che influenzerà la vita di François oltre ogni ombra di dubbio è la madre, Jeanne-Olympe Hurault de Belesbat: donna di spirito, vanta amici e corrispondenti come Cristina di Svezia, la Duchessa di Montpensier e Maria di Gonzaga, regina di Polonia, ma che oltre ogni cosa è un’arrivista forsennata ed un’intrigante diabolica, dotata di una sfrontatezza tale da farle dire ad un Luigi XIV giovanissimo “Sire, se volete diventare una brava persona dovrete parlare spesso con me”. Luigi le accordava 8000 livres di pensione e due udienze private per settimana, e si dice che in quegli incontri non parlassero soltanto… poi, col tempo perderà i favori del Re per aver troppo parlato male di Anna d’Austria e di Mazarino, e per essersi impicciata di troppi affari che non la riguardavano.

Madame de Choisy vestiva abitualmente il figlio da bambina, un po’ per moda (che rovinerà la vita del figlio) un po’ perché era compagnuccio di giochi del piccolo Philippe, fratello di Luigi XIV: visti i guai che Gastone di Francia aveva provocato a Luigi XIII ordendo congiure a non finire –salvo poi fare sempre marcia indietro all’ultimo secondo e tradire tutti i congiurati per salvare il collo-, Mazarino aveva avuto l’idea di far allevare Philippe “distraendolo”, praticamente sperava di farne una nullità dedita solo a trucco, belletti e vestiti e risparmiare così alla Francia altri grattacapi. L’idea del cardinale funzionò a meta: Philippe non congiurò mai contro il soffocante fratello (tanto, ad organizzare complotti di varia natura ci penseranno i suoi amanti) e si occupava quasi esclusivamente di pizzi, gioielli, nastri e profumi, ma in guerra era indomito e valoroso, tanto che la sua bravura indispettirà Luigi XIV, che per non vedere offuscata la propria gloria militare smette di mandare il fratello in guerra col pretesto di salvaguardare la successione al trono...

Choisy stesso riporta nei suoi Mémoires pour servir l'histoire de Louis XIV che la madre gli disse di ricordare sempre che la loro era una famiglia borghese, e che in Francia non si considerava altro che la nobiltà di spada, ma che avrebbe sempre dovuto avere delle buone frequentazioni per tenersi a galla: infatti François non intraprenderà una carriera militare, ma ecclesiastica, e sarà sempre legato ad Emmanuel-Théodose de La Tour d'Auvergne, cardinale de Bouillon, del quale diverrà anche l’amico. Attorno ai vent’anni scappa in provincia, e per qualche mese fa l’attrice, sempre vestito da donna. Nel 1672 prende un alloggio in Faubourg Saint-Marcel e vi s’installa allegramente sotto il nome di Madame de Sancy, vivendo in un gran lusso, con tanto di elemosiniere personale, con l’approvazione del curato di Saint-Médard e e il beneplacito del suo vescovo; François è felice dei suoi abiti che sono solo neri foderati di bianco, o bianchi foderati di nero, come si conviene ad un abate, trascurando il fatto che gli abati di solito non indossano nei finti, parrucche, gioielli e acconciature alla fontange. Ogni bel gioco ha la sua fine, però: un giorno all’Opéra il duca di Montausier, il misantropo, retto, moralista, pio, distintissimo e in una parola palloso governatore del Delfino lo svergogna pubblicamente per il suo travestimento.

Madame de Sancy torna ad essere l’abate Choisy giusto per quel minimo tempo richiesto da un viaggio in compagnia del suo amico Bouillon: vanno ad assistere al passaggio del Reno e ad officiare la messa per il Re. Tornato a Parigi François cambia ancora identità, e col nome di Madame la Contessa des Barres affitta il castello di Crespon, vicino a Bourges, e per ammazzare il tempo diventa l’amante di madame Bossuet, donna amica di Bussy-Rabutin e cognata di quel Jacques-Bénigne Bossuet, vescovo di Meaux, scrittore ed accademico di Francia. Si, perché la cosa interessante è che François non è omosessuale: ama solo il travestimento, e spesso inscena matrimoni finti, con le sue giovani amanti travestite da uomini, sotto l’auspicio delle famiglie delle ragazze e del prete locale. Un’altra cosa rilevante è che l’abate parla quasi sempre di sé al femminile quando si descrive, magari tutto orgoglioso perché ha il seno quanto una ragazzina di tredici anni, grazie al corsetto che indossa sempre e ad una pomata fatta con grasso di piede di pecora che gli rende la pelle bianca come l’alabastro.

François aveva anche un altro vizio: il gioco, che lo rovinerà. A ventitré anni la famiglia cerca di fargli perdere l’abitudine al travestimento, e lui pensa bene di fare un viaggio a Venezia, dove diventa preda del demone del gioco, e tornato in Francia è costretto a vivere unicamente dei redditi della sua abbazia in Borgogna.
Nel 1676 va a Roma con Bouillon come conclavista, e fu in nome dei cardinali francesi: Bouillon, Retz, Bonzi, e d’Estrées che scrisse a Luigi XIV per chiedergli di ritirare l’esclusione pronunciata contro il cardinale Odescalchi, che verrà eletto papa col nome di Innocenzo XI; diventerà anche amico di Daniel de Cosnac, vescovo di Valenza, elemosiniere di Monsieur Philippe e grande amico della moglie, poi elemosiniere della regina d’Inghilterra.
Nel 1685 prende il mare assieme al Cavaliere di Chaumont per andare in Siam, e racconterà le sue avventure in un diario: Journal du voyage de Siam fait en 1685 et 1686.
Nel 1687 entra all’Académie française, occupando il seggio appartenuto a François Honorat de Beauvilliers, duca de Saint-Aignan (il cui figlio diverrà amico di Saint-Simon) e collabora con Charles Perrault alla redazione degli opuscoli sulla lingua francese; scrive anche una biografia di una sua cugina, la spirituale Marie Bonneau, dame de Miramion.
La sua opera migliore sono probabilmente i Mémoires pour servir l'histoire de Louis XIV, gradevoli e di facile lettura ma purtroppo la nostra amica abate non si prendeva il disturbo di datare le cose che raccontava.
Un altro suo lavoro di una certa mole è una storia della chiesa, in 11 volumi, scritta probabilmente su consiglio di Bossuet... e scritta sempre in parrucca e panier, che non lascerà quasi mai. Choisy disse al riguardo: “Grazie a Dio ho finito la Storia della Chiesa: ora posso mettermi a studiarla”

I suoi due lavori più gustosi sono Mémoires de l’abbé de Choisy habillé en femme: graziosi, freschi, leggeri, pettegoli, senza pudore e senza la benché minima malizia, e i già citati Mémoires sul regno di Luigi XIV. Vi si ritrova anche in senso del ritratto, anche se in maniera minore, tipico di Saint-Simon.



Edited by marquise de Créquy - 25/11/2013, 23:55
view post Posted: 28/12/2012, 13:29     La cospirazione di Cellamare - Aneddoti

Sotto il nome di cospirazione di Cellamare si intende un complotto ordito nel 1718 dall’ambasciatore di Spagna presso la Francia Antonio del Giudice, principe di Cellamare.

L’intrigo aveva come obiettivo di togliere la reggenza a Philippe d’Orléans, e tra gli interpreti della commediola troviamo:
Louis-Auguste de Bourbon, duca du Maine, bastardo legittimato di Luigi XIV e di madame de Montespan; sua moglie Louise-Bénédicte de Bourbon-Condé, duchessa du Maine, nipote del Gran Condé e di Anna di Gonzaga; il cadrinale Melchior de Polignac; Louis François Armand de Vignerot du Plessis, duc de Richelieu, maresciallo di Francia, pronipote del cardinale; Marguerite Cordier, baronessa de Staal-Launay, femme de chambre della duchessa du Maine; Léonard-Élie marchese de Pompadour, Guy-André de Montmorency, conte di Laval e diversi altri personaggi minori.
La Francia entra in quella che passa alla storia come Quadruplice Alleanza nel 1718, sotto gli auspici del cardinale Dubois, segretario di stato per gli affari esteri e già precettore del Reggente (e anche manutengolo nel suo matrimonio con la bastarda di Luigi XIV mademoiselle de Blois); l’alleanza è un patto siglato da Francia, Austria, Inghilterra e Province Unite di Olanda per opporsi alle mire egemoniche nel mediterraneo di Filippo V di Spagna, che a dispetto delle rinunce del trattato di Utrecht –peraltro dinasticamente nulle, in quanto contrarie alla legge di successione francese- aveva anche in mente di cingere anche la corona di Francia, se fosse venuto a morire anche Luigi XV.

L’anima del governo spagnolo era all’epoca il primo ministro cardinale Giulio Alberini, uomo basso e viscido ma molto insinuante: nulla di meglio che rivolgersi a lui per rovesciare la reggenza… e la duchessa du Maine, che doveva far pagare al Reggente l’annullamento del testamento di Luigi XIV e l’esclusione del marito da ogni influenza si rivolse direttamente a lui, e quindi al principe di Cellamare, che già stava tramando con lo Zar per avere un’alleanza con la Spagna per cercare di mettere discordia tra Francia da una parte e Inghilterra e Austria dall’altra e, accessoriamente, per ottenere l’aiuto della Russia per rimettere sul trono Giacomo Stuart.
L’ambasciatore, la piccola duchessa ed un manipolo degli accoliti della sua corte di Sceaux misero in piedi, di riffa e di raffa, un progetto tanto assurdo quanto ballerino: rapire il Reggente, far attribuire la reggenza al re di Spagna e convocare gli Stati Generali. Progetto di grande respiro che capitombolò serenamente per la stoltezza dei congiurati: al momento di inviare i documenti con il piano da seguire al cardinale Alberoni i documenti vennero fatti trascrivere, e il copista se ne andò dritto ad informare la polizia.
Il cardinale Dubois era una vecchia volpe, e lasciò partire ugualmente i dispacci, che furono sequestrati a Poitiers, mentre le altre carte di Cellamare furono recuperate a Parigi; l’ambasciatore fu arrestato e portato a Blois, prima di essere espulso dal suolo francese (rientrato in Spagna diverrà viceré di Navarra e prenderà il titolo di duca di Giovenazzo), il suo segretario fu imprigionato al castello di Saumur, mentre per gli altri congiurati si aprivano nuove prospettive di vita: non fu comminata nessuna condanna a morte, ma il duca du Maine fu rinchiuso nella fortezza du Doullens, la duchessa esiliata a Digione, il duca di Richelieu ottenne uno dei suoi tre soggiorni alla Bastiglia –era un ospite abituale, essendo una testa calda-, il cardinale de Polignac venne esiliato nella sua abbazia di Anchin, e così via.

Questa fu l’occasione per la Francia di dichiarare guerra alla Spagna il 9 gennaio 1719, dopo che l’Inghilterra lo aveva fatto pochi giorni prima



Edited by Liselotte von der Pfalz - 3/8/2015, 17:28
view post Posted: 28/12/2012, 10:03     Élisabeth-Charlotte von der Pfalz Simmern, Duchesse d'Orléans. Una cognata del Re Sole - Personaggi

Élisabeth-Charlotte von der Pfalz Simmern (Heidelberg, 27 maggio 1652 -Saint-Cloud, 8 dicembre 1722), Duchessa d'Orléans, era figlia dell’Elettore Palatino Karl Ludwig (1617-1680) e Charlotte di Hessen-Cassel (1627-1686).

Il suo nome è molto frequentemente riportato erroneamente, per lo più come Élisabeth-Charlotte di Baviera, altrettanto errato è l’appellativo comune di Principessa Palatina, che invece era il modo in cui in Francia era chiamata sua zia, Anna di Gonzaga di Clèves, moglie di suo zio Edoardo e figura estremamente intrigante durante la Fronda. Sul contratto di nozze figura il titolo di “Elisabeth-Charlotte, Princesse Electorale Palatine du Rhin”, e la confusione sul cognome deriva dalla sua appartenenza al ramo principale della famiglia dei Wittelsbach, che regnava sulla Baviera. A Corte le spettava il titolo di Madame, come moglie del primo Figlio di Francia, ma per tutto il suo parentado tedesco ha sempre portato il nomignolo di Liselotte.

Nella piccola ma colta corte di Heidelberg Liselotte fu allevata nella fede protestante, e in seguito al divorzio dei genitori si trasferì all’età di sei anni presso la zia Sofia, Duchessa di Hannover, con la quale avrà un rapporto molto intimo per tutta la vita. La zia le fece impartire una buona educazione, eminentemente umanista: Liselotte conosceva Montaigne e Rabelais, amava la libertà e la natura; del resto, non si sentì mai completamente a suo agio a Versailles, dove regnava un’etichetta rigida, tanto che Saint-Simon ci dice che con un orologio ed un almanacco si poteva sapere sempre dove fosse e che cosa stesse facendo il Re anche stando a cento miglia di distanza dalla Corte.

Fu la seconda moglie di Philippe de France, Duca d'Orléans, detto Monsieur, fratello minore di Luigi XIV, e vedovo di Henriette Anne Stuart dalla quale aveva avuto tre figli; le nozze furono celebrate il 21 novembre 1671. Da questo matrimonio nacquero tre figli, tra cui Philippe II d'Orléans (1674-1723), che ebbe la reggenza del regno di Francia durante la minore età di Luigi XV, ed Élisabeth-Charlotte (1676-1744), che sposò Leopoldo I duca di Lorena e fu all’origine del ramo degli Asburgo-Lorena nonché nonna materna di Maria Antonietta.

In via tra Heidelberg e Versailles si convertì al cattolicesimo, in una chiesa di Metz: è infatti impensabile che della famiglia di Sua Maestà Cristianissima, Luogotenente di Dio sulla Terra, possa far parte un protestante: la conversione di Madame fu un pro forma, lei continuò a leggere la sua bibbia in tedesco, e condivise nella corrispondenza diversi dubbi sulla religione; col tempo mal si abituò all’aria bigotta che la marchesa de Maintenon fece prendere alla Corte; per tutta la vita non si capaciterà mai di come le persone possano arrivare a distruggersi per dei punti che lei reputa minori. Il temperamento spontaneo e franco di Madame poco si adattava alla vita del cortigiano, intessuta di intrighi e di relazioni di puro interesse: questo la portò ad essere abbastanza schiva, e spesso derisa dalla nobiltà o vittima di soprusi ed incidenti anche da parte del suo stesso marito o del Re.

La vita matrimoniale di Madame è per così dire blanda: Monsieur è gay, la sua relazione con il Cavaliere di Lorena è notoria, e si sposa soltanto per dovere verso la Corona, al fine d’assicurare altri eredi al trono, in caso la malconcia discendenza di Luigi XIV dovesse estinguersi prima del Re, cosa che fu quasi sul punto di accadere quando ne morirono il figlio Luigi il Gran Delfino ed il nipote Luigi Duca di Borgogna, mentre il bisnipote -il futuro Luigi XV- si salvò miracolosamente dal vaiolo. Una volta esaurito il suo dovere dinastico, Monsieur decise di lasciare in pace Madame, cosa che rese felici entrambi, e di tornare ai suoi favoriti, cosa che preoccupò molto Madame, visto che il Cavaliere di Lorena aveva quasi certamente avvelenato la precedente Madame, e che un altro, il marchese d’Effiat, rischiava di diventare il precettore di suo figlio.

Il 26 maggio 1685 muore senza lasciare eredi il fratello di Liselotte, Karl II Ludwig del Palatinato. Luigi XIV fece appello ad una clausola del contratto di matrimonio della cognata, e reclamò a suo nome il Palatinato renano e le città di Oppenheim, Simmern, Kaiserslauten, Sponheim, dando così inizio alla Guerra della Grande Alleanza: in realtà l’obiettivo era già stato in passato di instaurare una sovranità francese nella zona, lasciando al defunto Karl Ludwig l’usufrutto delle sue terre. Questa faccenda influì notevolmente sull’umore di Madame e sui suoi rapporti con il Re; una buona parte dei territori palatini fu rasa al suolo, e per colmo dello smacco i francesi raccolsero i tributi a nome di Liselotte. Liselotte considerò sempre il maresciallo Vauban come il responsabile della morte di suo padre e di suo fratello.

Madame ha uno spirito vivo, indipendente e un senso della famiglia molto forte. Una volta libera dai doveri coniugali -scriverà in una delle sue lettere “Chissà se dopo diciannove anni si ritorna vergini?”- inizia una fitta e copiosa corrispondenza, in prevalenza coi suoi familiari palatini ma non solo: colta, intelligente e curiosa, segue lo svilupparsi delle idee de l suo tempo, e tra i suoi corrispondenti annovera Leibnitz.

Si stima abbia scritto circa 60000 lettere, delle quali circa metà in francese, il resto in tedesco; purtroppo non tutte sono state conservate, ad esempio ne restano circa 4000 in tedesco a Sofia di Hannover, circa 1400 in tedesco ai fratellastri e così via, e 849 in francese. Non è bella, e lo sa bene, ma è tuttavia di aspetto gradevole all’epoca del matrimonio, che però cambierà abbastanza in fretta, tanto che nel 1698 scriverà ai suoi fratellastri:

Essere belli non ha alcun valore, ed un bel viso fa in fretta a cambiare. Solo una buona indole va bene per ogni età, e Voi dovete proprio avermi dimenticata se non mi includete tra i brutti; brutta lo sono sempre stata, ogni giorno della mia vita ed ancor più adesso per via del vaiolo. La mia taglia, inoltre, è mostruosa, grassa al punto da essere quadrata come un cubo; la mia pelle è rossiccia e macchiata di giallo, i miei capelli cominciano già ad essere tutti grigi, occhi e fronte sono molto rotondi ed il naso è curvo come è sempre stato, ma tutto contornato da pustole così come le guance che sono anche pallide. Ho le gote grosse, i denti accavallati e la bocca anche è un po’ cambiata, essendo diventata più grande e grinzosa. Così è fatta la mia bella faccia

Liselotte rimane tedesca dentro, rimpiange la sua infanzia ad Heidelberg ed i crauti del suo paese, detesta la corte e l’etichetta, che per esempio le impedirà di andare a trovare la figlia partoriente data l’impossibilità di accordarsi sul tipo di trattamento che avrebbe dovuto ricevere; è una testimone attenta ed implacabile di vizi e virtù, denuncia a tutta l’Europa la depravazione dei costumi e l’imperio del bigottismo e della bigotta Maintenon, che nelle sue lettere tratta tranquillamente di “vecchia troia”, “pantocrate”, “vecchia rinsecchita del grand’uomo”, “porcheria”, “vecchia mona”. Madame non ha falsi pudori, non si fa problemi ad usare parole volgari, e ogni tanto troviamo qualche aneddoto pecoreccio sotto la sua penna, il cui culmine è la cosiddetta “Lettera delle porcherie”, citata anche dai Goncourt, che scrisse alla zia Sofia per spiegarle i disagi della vita a Fontainebleau (“Voi siete fortunata di poter andare a c... quando volete...”), cui la tanto aulica Sofia di Hannover rispose sullo stesso tono: “È un piacevole ragionamento di merda quello che fate...”; troviamo anche descrizioni e similitudini poco simpatiche per i bastardi di Luigi XIV e della marchesa di Montespan: il duca du Maine è “il monco”, il conte di Tolosa “il rospo” o “la cacca di topo”; la sorella di lui, che a gran detrimento Madame si ritrova per nuora, è “ uguale a un culo come due gocce d’acqua”.
Saint-Simon ci lascia un racconto memorabile di uno schiaffo che Madame diede al figlio Phlippe quando Luigi XIV ne annunciò il matrimonio, tanto forte da far rimbombare tutto l’appartamento di madame de Maintenon, dove avvenne la scena: Liselotte era troppo cosciente del suo rango e di quello del figlio per essere felice di vederlo abbassarsi a sposare la figlia di un duplice adulterio; madre attenta e sagace, rimprovera sempre al futuro reggente le frequentazioni equivoche e i comportamenti dissoluti, a maggior ragione perché conosce bene la sua intelligenza (“le Fate hanno fatto tutti i doni a mio figlio quand’è nato, tranne quello di saperne far buon uso”); le lettere -quasi tutte distrutte, purtroppo- a sua figlia in Lorena sono piene di consigli materni.

Madame morì nel 1722, avendo avuto la felicità di vedere il figlio divenire Reggente di Francia nonostante le macchinazioni della Maintenon per assegnare il ruolo dl duca du Maine.
Il giorno prima di morire disse a suo figlio Phlippe: “Piangete, figlio mio? Credevate fossi immortale? Non sapete che per i cristiani non ci si deve augurare di vivere che per imparare a morire?”. Si spense alle 3:30 dell’8 dicembre 1722. Riferiscono che “lo stesso giorno della morte di Madame vi fu un’eclissi di sole, dalle due fino alle quattro



Edited by Liselotte von der Pfalz - 16/11/2014, 00:36
view post Posted: 28/12/2012, 10:00     Élisabeth-Charlotte von der Pfalz, Duchesse d'Orléans - Bibliografia

  1. Daniel des Brosses, La Palatine: l'incorrigible épistolière aux 60 000 lettres. AkR, 2004, 156 pagine, ISBN 2913451209

  2. Dirk Van der Cruysse, Madame Palatine, princesse européenne, Ed. Fayard, 1988, 748 pagine, ISBN 2213022003

  3. Dirk Van der Cruysse, Lettres françaises, Fayard, 825 pagine, 1989, ISBN 2213023654

  4. Simone Bertière, Les Femmes du Roi-Soleil, Éditions de Fallois, 1998, ISBN 2253147125

  5. Françoise Hamel, Fille de France, Plon, 302 pagine, 2004, ISBN 2259199291

  6. Françoise Hamel, Madame écrit, Plon, 309 pagine, 2005, ISBN 2259202268

  7. Principessa Palatina, Lettere, Sellerio, 200 pagine, 1988, ISBN 8838904715

  8. Claude Pasteur, La princesse Palatine. Une Allemande à la cour de Louis XIV, Tallandier, 184 pagine, 2001, ISBN 9782235022903

  9. S. A. , Lettres de la Princesse Palatine (1672-1722), Mercure de France, 586 pagine, 1985, ISBN 2715213824

  10. Arlette Lebigre, La Princesse Palatine, Albin Michel, 1986, ISBN 2226025626

  11. Frantz Funck-Brentano, Liselotte. Duchesse d'Orléans, mère du Régent, Édition de la Nouvelle revue critique, 252 pagine, 1936

  12. Augustin Cabanès, La belle-soeur du grand roi (une Allemande à la cour de France): la Princesse Palatine; Les petits talents du grand Frédéric; Un medecin prussien, espion dans les salons romantiques, Albin Michel, 398 pagine, 1916

  13. Arvède Barine, Madame, mère du Régent, Hachette, 328 pagine, 1923




Edited by Liselotte von der Pfalz - 28/12/2012, 11:20
view post Posted: 27/12/2012, 23:17     Buongiorno a tutti - La Cour Royale
Mi chiamo Mauro, ho 45 anni, abito in un piccolo comune tra Padova e Venezia.
Fin da ragazzo mi appassionava la storia della corte di Luigi XIV, e onestamente non ho mai capito da dove mi sia nata questa passione, ma tant'è, son passato dalle stalle (Angelica alla corte del Re, quando avevo 14 anni) alle stelle (i Mémoires di Saint-Simon a 25), passando per le lettere della Palatina e Madame de Caylus... ho scoperto di avere un'inclinazione marcata per il pettegolezzo storico. :-)

Ho una simpatia molto forte per Mazarino e per la gloriosa Liselotte, principalmente.
view post Posted: 27/12/2012, 23:14     Presentazione - La Cour Royale
Ciao,
io sono Mauro. Ma lo sai già
view post Posted: 27/12/2012, 22:46     Regolamento - Regolamento

Oltre alla Netiquette, norma generale di comportamento su Internet, e al regolamento del circuito di ForumFree.it/ForumCommunity.net/BlogFree.net, al quale questo forum e i suoi utenti si adeguano per forza di cose, gli utenti sono chiamati a rispettare le seguenti regole:

1. Si richiede una breve presentazione prima di postare qualsiasi tipo di intervento sul forum.
La sezione apposita è: La Cour Royale.
2. Utilizzare il motore di ricerca del forum prima di aprire una nuova discussione. In questo modo si verificherà se la stessa è già presente e si eviterà di riempire il forum di discussioni ripetitive e (conseguentemente) noiose.
3. Utilizzare nell’aprire una discussione un titolo che possa riassumere nel modo migliore possibile l’argomento di questa. Ciò permette a chi è interessato di intervenire e chi non è interessato di non aprire inutilmente la pagina. A titolo esemplificativo i thread intitolati “AIUTATEMI VI PREGO!!!” o “LEGGETE!!!!” saranno gli ultimi ad essere presi in considerazione (o meglio verranno cancellati).
4. Non effettuare più post in serie su una stessa discussione, cercando invece di concentrare ogni intervento in unico post. Questo renderà la lettura della discussione più agevole.
5. Il Titolo della discussione deve coincidere con il contenuto della discussione.
6. È ovviamente richiesto un linguaggio moderato che non vada a mirare nessuno, pertanto é vietato assumere atteggiamenti provocatori o sbeffeggiatori nei confronti degli altri utenti.
7. È assolutamente vietato inviare messaggi di spam da parte di visitatori e utenti. (Ban Immediato)

Non sono consentiti:

1. Insulti personali tra i partecipanti;
2. Offese alle istituzioni o alla religione di qualunque fede.
3. Proselitismo (cercare di convertire persone appartenenti ad altre fedi, o a nessuna fede, alla propria religione, impiegando la persuasione o intimidazioni come ad esempio minacce divine).
4. Propaganda, ovvero, messaggi mirati ad influenzare le opinioni o il comportamento delle persone.
5. Sono vietati il razzismo ed ogni apologia dell’inferiorità o superiorità di una razza rispetto alle altre, inoltre omofobia, xenofobia e sessismo.
6. Messaggi non inerenti alle tematiche proposte (i cosiddetti OT, dall’inglese “Off-Topic” ovvero “fuori tema”) o non idonei alle finalità del forum. Non verranno accettati messaggi privi di argomentazioni come ad esempio solo link, cose di questo genere: “Su questa pagina ...ww.tesiperesami.it vengono pubblicate tesine per esami, che ne pensate?”.
7. Commenti in chiave sarcastica, beffeggiatoria, sacrilega e denigratoria.
8. Atteggiamenti e/o posizioni di contestazione, presi a titolo gratuito, palesemente ostili nei confronti dei moderatori e degli amministratori del forum.
9. Incitamento al mancato rispetto delle presenti regole miranti alla esclusiva destabilizzazione della normale e pacifica partecipazione attiva al forum.
10. È vietato inviare email o messaggi non richiesti al solo fine di promuovere il forum.
11. È vietato scrivere messaggi o discussioni al solo fine di aumentare il numero di messaggi del forum.
12. Multi iscrizioni (con nickname diversi), ogni persona potrà partecipare al forum con una unica iscrizione.
13. Il pubblicare immagini o link ritenuti osceni e offensivi della sensibilità dei singoli; questi verranno immediatamente rimossi. La regola vale anche per le signature e avatar.
14. Inviare messaggi pubblicitari, catene di Sant’Antonio o comunicazioni (eventi, manifestazioni, annunci ecc.) che non siano state sollecitate in modo esplicito, il forum non è una bacheca.
15. Richiedere testi, link, informazioni o altro, senza discutere l’argomento proposto.
16. Pubblicare link, immagini o allegati non attinenti alla discussione.
17. Pubblicare e/o richiedere link a siti contenenti materiale che violi le leggi sul copyright e sul diritto d’autore.
18. È vietato l’inserimento di link Streaming e Download di Film, Giochi e musica.


“Queste infrazioni comporteranno l’immediata chiusura e/o rimozione delle discussioni; in presenza di comportamenti gravi la violazione di queste norme potrà portare al bannaggio dell’utente responsabile.”


Contestazioni

L’operato dei moderatori è insindacabile e può essere giudicato solo dall’Amministratore del forum.
Eventuali contestazioni vanno effettuate via e-mail oppure tramite i messaggi interni (pvt) e comunque in forma privata. Verrà immediatamente chiusa ogni discussione avente come oggetto argomenti di contestazione in chiave polemica. Chi dovesse insistere in simile atteggiamento, verrà immediatamente allontanato dal forum secondo l’insindacabile giudizio dei moderatori.


Chiusura discussioni


Verrà chiusa ogni discussione dove argomenti o toni non risultino idonei alla linea del forum (vedi sopra). Se nel corso della discussione il topic dovesse degenerare (anche con un solo messaggio) è data ampia facoltà di intervenire al moderatore come ritiene opportuno, anche con la chiusura della discussione o, nei casi più gravi, con il bannaggio immediato.
Per le violazioni meno gravi, ad insindacabile giudizio del moderatore, si potrà procedere all’editazione del messaggio incriminato.
È espressamente vietato aprire nuove discussioni dove l’argomento sia la contestazione di chiusura di topic. Per eventuali contestazioni di questo tipo, vedere “Contestazioni”.



Dispute personali tra utenti

Non è ammesso rendere pubbliche le conversazioni private. Non è ammesso utilizzare lo spazio del forum per dispute personali di ogni genere tra utenti, non sono quindi consentiti thread rivolti ad un solo utente (ad esempio dal titolo “a Mario”), a tale scopo esistono i messaggi privati. Qualora questo si dovesse verificare, la discussione verrà immediatamente cancellata o chiusa.
In caso di recidività da parte dello stesso utente e qualora non dovessero avere effetto i richiami dei moderatori, il responsabile verrà bannato dal forum.


Bannaggio utenti

Ogni utente è responsabile dei contenuti dei propri post (messaggi), decidendo di renderli pubblici e inviandoli al forum non potrà più considerare i suoi scritti “privati”, potrà però chiedere che vengano modificati o può farlo egli stesso entro un certo lasso di tempo.
Se bannato non potrà richiedere la cancellazione di tutti i suoi messaggi, questo renderebbe impossibile la lettura delle discussioni in cui è intervenuto o provocherebbe la cancellazione di intere discussioni, ledendo gli altri partecipanti. Nel momento in cui verranno copiati contenuti del seguente forum e verranno pubblicati esternamente ad esso senza il permesso, il suddetto colpevole verrà bannato dal forum.


I moderatori ed amministratori di questo forum non possono vedere tutto . Se un messaggio ti sembra sconveniente o altro, puoi segnalarlo a un moderatore per messaggeria privata.


Qualora un utente venga bannato dal forum non può riscriversi con altro nickname; su questo forum non vengono bannati i nickname ma le persone, per evidenti ragioni. Qualora un utente bannato si riscriva al forum e venga scoperto dai moderatori o dagli amministratori, verrà nuovamente bannato. Qualora questo utente continui a riscriversi, con l’unico fine di contestare e ostacolare il regolare svolgimento dei post sul forum si procederà con la segnalazione all’autorità competente e al provider utilizzato (nei casi previsti dalla legge, è possibile far ricorso al riconoscimento IP).




Accettazione Regolamento



“Procedendo con la registrazione al forum il regolamento viene dichiarato accettato in tutte le sue parti dall’utente che si registra.”

La presenza di queste norme di comportamento vuole spronare gli utenti ad una discussione seria, civile e nel rispetto delle opinioni altrui; durante le discussioni è possibile giungere a situazioni di contrasto e scontro: si richiama ogni utente del forum alla massima attenzione, in quanto la discussione anche animata e con scontro di opinioni è ammessa ma non l’insulto personale, tantomeno ogni tentativo di denigrare le opinioni altrui se differenti dalle proprie. Tali comportamenti non verranno in alcun modo tollerati da parte dell’amministratore, le discussioni offensive verranno chiuse o eliminate e se il caso, gli utenti responsabili di comportamenti scorretti verranno allontanati dal forum. Per qualsiasi chiarimento s’invita a chiedere informazioni all’amministratore del forum.

Auguro a tutti gli utenti un’ottima permanenza nel forum

Grazie,
Lo Staff



Edited by Liselotte von der Pfalz - 27/12/2012, 23:03
view post Posted: 27/12/2012, 20:57     La netiquette, ovvero il galateo di Internet - Regolamento

Etica e norme di buon uso dei servizi di rete


Fra gli utenti dei servizi telematici di rete, prima fra tutte la rete Internet, si sono sviluppati nel corso del tempo una serie di "tradizioni" e di "principi di buon comportamento" (galateo) che vanno collettivamente sotto il nome di "netiquette". Tenendo ben a mente che la entità che fornisce l'accesso ai servizi di rete (provider, istituzione pubblica, datore di lavoro, etc.) può regolamentare in modo ancora più preciso i doveri dei propri utente, riportiamo in questo documento un breve sunto dei principi fondamentali della "netiquette", a cui tutti sono tenuti ad adeguarsi.

1. Quando si arriva in un nuovo newsgroup o in una nuova lista di distribuzione via posta elettronica, è bene leggere i messaggi che vi circolano per almeno due settimane prima di inviare propri messaggi: in questo modo ci si rende conto dell'argomento e del metodo con il quale quest'ultimo viene trattato in tale comunità.

2. Se si manda un messaggio, è bene che esso sia sintetico e descriva in modo chiaro e diretto il problema. Specificare sempre, in modo breve e significativo, l'oggetto (campo "Subject") del testo incluso nella mail. Se si utilizza un "signature file", mantenerlo breve e significativo.

3. Non scrivere in maiuscolo in un intero messaggio, poiché ciò vorrebbe dire urlare nei confronti dell'interlocutore.

4. Non divagare rispetto all'argomento del newsgroup o della lista di distribuzione via posta elettronica.

5. Evitare, quanto più possibile, broadcast del proprio messaggio verso molte mailing list (o newsgroups). Nella stragrande maggioranza dei casi esiste una ed una sola mailing list che costituisce il destinatario corretto, e che include tutti e soli gli utenti che sono effettivamente interessati.

6. Se si risponde a un messaggio ("quote"), evidenziare i passaggi rilevanti del messaggio originario, allo scopo di facilitare la comprensione da parte di coloro che non lo hanno letto, ma non riportare mai sistematicamente l'intero messaggio originale, se non quando necessario.

7. Non condurre "guerre di opinione" sulla rete a colpi di messaggi e contromessaggi: se ci sono diatribpersonali, è meglio risolverle via posta elettronica in corrispondenza privata tra gli interessati.

8. Non pubblicare mai, senza l'esplicito permesso dell'autore, il contenuto di messaggi di posta elettronica.

9. Non pubblicare messaggi stupidi o che semplicemente prendono le parti dell'uno o dell'altro fra i contendenti in una discussione. Leggere sempre le FAQ (Frequently Asked Questions) relative all'argomento trattato prima di inviare nuove domande.

10. Non inviare tramite posta elettronica messaggi pubblicitari o comunicazioni che non siano state sollecitate in modo esplicito.

11. Non essere intolleranti con chi commette errori sintattici o grammaticali. Chi scrive è comunque tenuto a migliorare il proprio linguaggio in modo da risultare comprensibile alla collettività.

Alle regole precedenti vanno aggiunti altri criteri che derivano direttamente dal buon senso:

a. La rete è utilizzata come strumento di lavoro da molti utenti. Nessuno di costoro ha tempo per leggere messaggi inutili o frivoli o di carattere personale, e dunque non di interesse generale.

b. Qualunque attività che appesantisca il traffico o i servizi sulla rete, quali per esempio il trasferimento di archivi voluminosi o l'invio di messaggi di posta elettronica contenenti grossi allegati a un gran numero di destinatari, deteriora il rendimento complessivo della rete. Si raccomanda pertanto di effettuare queste operazioni in modo da ridurre il più possibile l'impatto sulla rete. In particolare si raccomanda di: effettuare i trasferimenti di archivi in orari diversi da quelli di massima operatività (per esempio di notte), tenendo presenti le eventuali differenze di fuso orario; non inviare per posta elettronica grosse moli di dati; indicare (ove possibile) la locazione (URL) dei dati nel messaggio, rendendoli disponibili per il prelievo o la consultazione sulla rete.

c. Vi sono sulla rete una serie di siti server (file server) che contengono, in copia aggiornata, documentazione, software ed altri oggetti disponibili sulla rete. Informatevi preventivamente su quale sia il nodo server più accessibile per voi. Se un file è disponibile su di esso o localmente, non vi è alcuna ragione per scaricarlo, impegnando inutilmente la linea e impiegando un tempo sicuramente maggiore per il trasferimento.

d. Il software reperibile sulla rete può essere coperto da brevetti e/o vincoli di utilizzo di varia natura. Leggere sempre attentamente la documentazione di accompagnamento prima di utilizzarlo, modificarlo o re-distribuirlo in qualunque modo e sotto qualunque forma.

e. Comportamenti palesemente scorretti da parte di un utente, quali:

- violare la sicurezza di archivi e computer della rete;
- violare la privacy di altri utenti della rete, leggendo o intercettando la posta elettronica loro destinata;
- compromettere il funzionamento della rete e degli apparecchi che la costituiscono con programmi (virus, trojan horses, ecc.) costruiti appositamente; costituiscono dei veri e propri crimini informatici e come tali sono punibili dalla legge.

Altri punti si possono ricavare dal semplice buonsenso che, al di là delle norme scritte, dovrebbe guidare gli utenti a rispettare gli altri.

Non essere intolleranti con chi dovesse commettere errori in una lingua straniera: se le circostanze lo consentono si possono far notare gli errori, non con toni di rimprovero ma con educazione, allo scopo di aiutare nell'apprendimento della lingua. Ovviamente se un utente ha urgentemente bisogno di conoscere determinate informazioni, commentare i suoi errori, anche se con l'intenzione di aiutare, potrebbe risultare un atteggiamento fuori luogo.

Se si ha necessità di intervenire in un forum (o altro luogo virtuale di discussione), scrivere nella lingua utilizzata dagli altri membri della discussione. Se non la si conosce bisogna usarne un'altra conosciuta da tutti, o almeno dalla maggior parte dei partecipanti; al contrario, se ci si trova nella necessità di dover scrivere con uno o pochissimi utenti in una lingua sconosciuta dai più, si può pensare a una discussione privata, specie se la gravità della situazione non è tale da richiedere un sacrificio di attenzione da parte di chi non può capire, e ciò indifferentemente dalla notorietà della lingua.

Se si interviene in una lingua che non è quella del luogo di discussione, e quindi nella propria lingua madre o un'altra lingua conosciuta sperando che qualcuno possa offrire il suo aiuto, è bene scusarsi per il fatto di chiedere temporaneamente di cambiare lingua. Ciò per far capire che non si pretende di cambiare lingua, ma lo si sta chiedendo consapevoli dei sacrifici altrui. Invece si può leggere più spesso di persone che, iniziando a scrivere in una lingua che non è la loro, chiedono scusa per i loro errori. In entrambi i casi è segno di gentilezza, ma la differenza sta nel fatto che nel primo chiediamo a qualcuno di cambiare lingua per una lingua in cui siamo a nostro agio, mentre nel secondo, pur chiedendo un'informazione, siamo noi ad adattarci alla lingua altrui e facendo lo sforzo di cambiare lingua.

Rispettare le persone diverse da te per cultura, religione, ecc. Il razzismo, il sessismo, l'omofobia, ogni tipo di discriminazione sociale e l'apologia di certe ideologie politiche non sono quasi mai tollerati e possono comportare l'esclusione o il ban.

Non incitare o fornire informazioni su attività illegali, immorali o pericolose per chi le fa e per gli altri.

Non fornire informazioni errate, imprecise, incomplete, ambigue od obsolete. In caso di dubbio, verificarle prima.

Non postare immagini o video di carattere pornografico o cruente né link a essi. Se e solo se le norme del forum o del gruppo lo permettono, non pubblicarli direttamente ma sotto forma di link preceduto da un avviso sul tipo di contenuto presente.



Edited by Liselotte von der Pfalz - 28/12/2012, 19:06
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