La Cour Royale

Le leggi fondamentali di devoluzione della Corona di Francia. La Legge Salica non esiste!

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view post Posted on 5/1/2013, 23:49     +1   -1
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Non esiste davvero?
  1. A: si, non esiste.

  2. B: no, esiste.

  3. C: nessuna delle precedenti
La risposta giusta è la C: di fatto possiamo dire che ci siano due leggi, una vera e una finta.

La Lex Salica, quella vera, è un codice che rimonta a Clodoveo, quel tizio che fu eletto re dei Franchi, lo stesso che si fece battezzare a Reims in un giorno di Natale nel 496 C.E. (o via di lì, la data esatta è ancora oggi oggetto di discussioni tra gli storici) assieme a ben 3000 dei suoi soldati, e del quale la storia è ben nota. La Lex Salica riguardava la popolazione dei Franchi Salii, che prendevano il loro nome da un fiume che si chiamava Sala, e che adesso chiamiamo Ijssel.

Che cosa stabilisse questo codice non c’interessa molto, ai fini della discussione è importante solo un singolo titolo, quello che stabiliva che le donne non potessero ereditare i beni allodiali salici, cosa che non ha mai escluso che potessero invece ereditare altri territori in altre regioni, e altri beni di qualsiasi altra natura. Un allodio, giuridicamente, indica un bene (o anche una terra) posseduta in piena proprietà, senza legami di vassallaggio o di qualsiasi altro tipo di concessione.

La devoluzione della Corona di Francia, dal canto suo, risponde alle leggi fondamentali del Regno, stabilite da secoli e secoli di costume, e non sono di certo mai state promulgate esplicitamente all’avvento di Ugo Capeto. Esistevano implicitamente nei primi secoli della monarchia, e sono state formulate in maniera esplicita nel corso dei secoli, secondo le circostanze: le regole di successione al trono di un qualsiasi paese non sono scritte nello specifico interesse di una persona, di una famiglia o di una dinastia, ma per il bene comune.


Le Leggi Fondamentali si possono ridurre a cinque grandi principi:
  1. il principio di ereditarietà della Corona;

  2. il principio di primogenitura;

  3. il principio di mascolinità;

  4. il principio di indisponibilità della Corona, o teoria statutaria;

  5. il principio di cattolicità.
Facciamo un rapido excursus di ognuno, forzatamente non esaustivo vista l’ampiezza del materiale da trattare.

1. Il principio di ereditarietà della Corona.

Ugo Capeto fu consacrato re a Noyon il 3 luglio del 987, dopo essere stato eletto da un’assemblea di Grandi del regno, così com’era successo ad altri re in tutto il secolo precedente. Appena insediato sul trono Ugo inizia a pensare di trasmetterlo a suo figlio Roberto, e sbandierando la scusa della minaccia musulmana che richiede la sua presenza nel sud de regno, chiede ai Grandi del regno di eleggere suo figlio e consacrarlo. Alcuni di loro non erano molto d’accordo, ma per timore di mettersi contro il re accondiscesero ugualmente, ed il giorno di Natale del 987 Roberto è eletto e consacrato come re. Naturalmente, alla morte di Ugo Capeto, Roberto il Pio salì al trono senza alcun ostacolo; nel 1016, memore dell’esempio paterno, fece eleggere e consacrare suo figlio Ugo, che aveva dieci anni. Questi morirà prima del padre, e il secondo figlio di Roberto, Enrico, sarà eletto e consacrato nel 1025; i suoi successori faranno lo stesso, e verrà sottolineata la differenza tra il padre regnate “Rex coronatus” ed il figlio, “Rex associatus”. Arriviamo a Luigi VII il Giovane, che inizialmente ebbe solo figlie ed era avanti negli anni e già molto malato quando fece eleggere e consacrare il figlio, il futuro Filippo Augusto, nel 1179. Egli fu l’ultimo re eletto e consacrato durante la vita del padre: alla sua morte il figlio Luigi VIII il Leone salì al trono senza difficoltà alcuna; la pratica dell’associazione al trono ha soppiantato poco a poco, durante due secoli, il principio d’elezione. In realtà non era stato inventato nulla, visto che i Carolingi, da Pipino il Breve in poi, avevano già avuto cura di associare i loro successori al trono, e l’ereditarietà esisteva già anche sotto Merovingi e Carolingi. I Grandi del regno si limitavano ad eleggere l’erede legittimo.

2. il principio di primogenitura.

La regola precedente rischiava di causare lotte tra gli eredi, e magari un frazionamento del regno, cosa che fu nefasta sotto Merovingi e Carolingi. Sotto i Capetingi, al contrario, l’indivisibilità della Corona non è mai stata messa in dubbio; da cui fu naturale che fosse devoluta al figlio primogenito, il primo in grado di portare le armi e di essere di aiuto al padre. Il problema non si pose che sotto Roberto il Pio, che come detto più sopra associò al regno il suo secondo figlio Enrico, mentre la regina Costanza gli avrebbe preferito il figlio cadetto, Roberto conte di Langres e duca di Borgogna. Alla morte del padre Enrico I dovette affrontare una coalizione formata dai fratelli minori, che riuscì a vincere. Da allora in poi la regola di primogenitura s’impose progressivamente, mentre i figli cadetti ricevettero degli appannaggi che permettessero loro di vivere secondo uno status degno di un principe del sangue.

3. il principio di mascolinità.

Nei primi tre secoli di dinastia Capetingia ogni re ha avuto almeno un figlio in grado succedergli, ed il problema della successione per linea femminile, o dell’assenza totale di una discendenza, si è posto soltanto dopo la morte di Filippo il Bello. Questi aveva tre figli: Luigi (Luigi X l’Attaccabrighe), Filippo (Filippo V il Lungo) e Carlo (Carlo V il Bello), oltre ad una figlia: Isabella, moglie di Edoardo II d’Inghilterra e madre di Edoardo III.
Luigi X muore nel 1316, lasciando solo una figlia avuta dalla prima moglie Margherita di Borgogna, la piccola Giovanna; tuttavia la seconda moglie, Clemenza di Ungheria, era incinta. Filippo, il fratello del re, ottenne di essere nominato luogotenente generale del regno e reggente; fu stabilito che se la regina avesse partorito un maschio sarebbe stato proclamato re sotto la reggenza dello zio Filippo, se invece fosse stata una bambina la decisione sarebbe stata aggiornata fino alla maggiore età della principessa Giovanna. Clemenza partorì un maschio il 14 novembre 1316, Giovanni I il Postumo, che però morì cinque giorni dopo. A questo punto la domanda era: chi doveva salire al trono? Giovanna o lo zio Filippo?
In favore di Giovanna c’era il diritto feudale, che prevedeva che una figlia potesse succedere al feudo paterno a difetto di eredi maschi, senza contare che in parecchi altri paesi le donne erano state regine secondo la stessa logica: la Navarra, Bisanzio, Gerusalemme, l’Inghilterra; e in Spagna ed in Scozia e in Castiglia potevano diventare regine tranquillamente.
A sfavore di Giovanna c’era il rischio che il matrimonio con un principe straniero, o non Capetingio, potessero portare la Francia ad un vassallaggio non soltanto indesiderato ma anche aborrito.
Il clero francese ebbe un grande peso nella decisione: una donna non poteva ricevere l’unzione sulla testa all’atto della consacrazione. La consacrazione di un re è sullo stesso piano di un’ordinazione, faceva del Re di Francia un re-sacerdote, un re spirituale e sacerdotale, un évêque du dehors, e si sa che la chiesa non permette il sacerdozio femminile. Il re, oltrettutto, era canonico titolare di parecchie cattedrali.
Filippo prese il proverbiale toro per le corna, forte dei pareri dell’Università di Parigi, della Chiesa e di un’assemblea di preti e Grandi del regno, e si fece consacrare re nel gennaio del 1317.
Morirà cinque anni dopo, e suo fratello Carlo gli succederà automaticamente: il costume dell’esclusione delle donne dalla corona era stabilito.

Dal Vangelo secondo Matteo (VI, 28): Lilia non laborant neque nent [I gigli non lavorano né filano] è diventato una delle massime più conosciute del diritto dinastico, con la chiara identificazione dei gigli alla Francia ed alla famiglia reale, tanto che questa rimarrà una divisa inserita nelle armi del Regno di Francia.

Questa fu solo la prima tappa, alla morte di Carlo VI il Folle si pose un caso analogo, ma forse un po’ più grave: morendo lasciava solo una figlia di due anni avuta dalla sua terza moglie, Giovanna di Evreux, che stava aspettando quella che dopo poco si rivela essere una terza figlia. Chi sarebbe salito al trono, quindi? Filippo di Valois, lontano cugino del re appartenente ad una branca originata da Filippo III il Bello, oppure Edoardo III d’Inghilterra, figlio di Isabella di Francia e quindi nipote del defunto re, parente più prossimo ma in linea femminile?
In favore di Edoardo III c’era la prossimità della parentela, e il fatto che le donne, anche se inadatte a regnare, potessero trasmettere un diritto che non potevano esercitare di conto proprio (l’espressione in uso era “faire pont e planche”).
In favore di Filippo c’è il fatto che l’esclusione delle donne portava ad una loro incapacità totale e radicale, poiché non possono certo trasmettere dei diritti che non hanno, secondo l’adagio del diritto romano Nemo dat quod non habet [Nessuno può dare ciò che non ha]. Un’assemblea di notabili alla quale era rappresentato anche Edoardo decise in favore di Filippo, che fu consacrato a Reims il 29 maggio 1328, divenendo così Filippo VI.
Edoardo, in un primo tempo, gli presta omaggio; ma nel 1137 pretende al trono di Francia, intima a Filippo di rinunciare alla Corona e si proclama re di Francia ed Inghilterra tre anni dopo. Il Papa giudica nulle le pretese di Edoardo, basandosi anche sul suo precedente omaggio reso a Filippo: da qui l’origine della Guerra dei Cento anni.
Non fu invocato un senso di nazionalismo all’epoca, ma è certo che i Francesi in generale, ed i Grandi del regno in particolare, non avessero nessuna intenzione di sottomettersi ad un re inglese. Fu solo più tardi che i giuristi, alla ricerca di altre pezze di appoggio per giustificare l’esclusione, invocarono la Lex Salica come esempio, il cui capitolo 59 contiene la disposizione che esclude a priori le donne dalla successione allodiale.

In pratica, quella che comunemente oggi chiamiamo Legge Salica è solo una delle leggi fondamentali di Devoluzione, ma il nome è talmente abusato da comparire perfino nello Statuto Albertino.

4. il principio di indisponibilità della Corona, o teoria statutaria.

Questo principio venne espresso dopo il disastro della battaglia di Azincout (1415), quando Carlo VI il Folle era facile preda di chiunque sapesse come irretirlo. Enrico V Lancaster, re di Inghilterra obbliga il re pazzo a firmare il trattato di Troyes nel 1420, trattato col quale Carlo Vi dà in sposa al re d’Inghilterra sua figlia Caterina ed adotta il figlio di questi come successore, in modo che alla morte di Carlo Enrico V d’Inghilterra sarebbe diventato re di Francia. Enrico morì nel 1422, seguito di presso da Carlo VI, e Enrico VI fu proclamato re di Francia. Il legittimo erede al trono di Francia, Carlo VII il Vittorioso, riuscì a riprendersi il regno con l’aiuto di Giovanna d’Arco, ed il trattato di Troyes fu annullato.
Un giurista, Jean de Terrevermeille, aveva formulato qualche tempo prima della firma del trattato incriminato una serie di massime, che saranno d’ora in avanti ritenute parte delle leggi di devoluzione della Corona. Questa non è ereditaria o patrimoniale, ma statutaria, obbedisce cioè ad uno statuto che va al di là delle regole del diritto privato; è determinata “dalla sola forza del costume, ossia la successione semplice è legata agli eredi maschi primogeniti in linea diretta, e mancando questa ai maschi collaterali, secondo il loro grado di prossimità”.
Nel diritto privato un individuo può decidere di diseredare suo figlio maggiore, ma nel diritto dinastico non è il re che designa il suo successore, ma è il costume che designa in precedenza il più prossimo erede maschio suscettibile di raccogliere la Corona; questo solo regola la successione, si impone al re che non può cambiare né abrogare alcunché. La regalità è dunque un ufficio pubblico, cosa che la rende indisponibile, e questa indisponibilità si applica anche al dominio della Corona. In un breve a Carlo VII, il papa Martino V dichiara: “Il re non ha che una sorta di amministrazione e di uso della Corona. Non può alienarla, né legare il regno in altre mani, né togliere a suo figlio questo diritto”. Secondo Gian Giovenale degli Orsini, il re ha sul regno solo “una specie di amministrazione e di uso per gioirne solo vita natural durante”.

La teoria statutaria implica parecchie conseguenze molto significative:

Prima di tutto, la continuità reale: per evitare interregni tra la morte del re e la consacrazione del successore si considerò il delfino come re dall’istante stesso della morte de predecessore, senza attendere la consacrazione; istantaneità precisata in due editti di Carlo VI del 1403 e 1407. “Le Roi est mort. Vive le Roi” e “Le Roi en France ne meurt jamais” sono gli adagi più famosi che chiariscono questo punto.

In secondo luogo, il re non può abdicare poiché non dispone della Corona; infatti il Parlamento di Parigi fece sapere a Francesco I, prigioniero a Madrid dopo la battaglia di Pavia, che non poteva cedere la Corona al figlio perché era contrario alle leggi fondamentali del regno.

In terzo luogo, il re non può abilitare alla successione nessuno che non sia già chiamato dalle leggi fondamentali di devoluzione della Corona. Ad esempio, è il caso di Luigi XIV che cercò di chiamare alla successione i figli bastardi avuti dalla marchesa di Montespan.

Infine, il re non può far rinunciare nessuno dei suoi eredi ai suoi diritti alla Corona. Caso clamoroso fu la rinuncia di Filippo Duca D’Angiò ai diritti al trono di Francia (per sé e per i propri successori) per diventare Filippo V di Spagna: rinuncia pretesa nel 1713 col trattato di Utrecht, doppiamente nulla poiché contraria alle leggi di devoluzione ed imposta con la forza.

5. il principio di cattolicità.

La Francia può essere governata solo da un re cattolico: condizione rimasta implicita per lungo tempo,giacché non si poteva certo porre prima della fine del XVImo secolo e della Riforma.

Il problema sorge alla fine del regno di Enrico III, che non aveva figli e il cui parente più prossimo (al ventunesimo grado) era il protestante Enrico di Navarra. Come poteva un ugonotto essere consacrato Re di Francia se il giuramento che avrebbe dovuto prestare prevedeva anche la promessa di difendere la chiesa cattolica e di perseguitare gli eretici? Per giunta, Enrico di Navarra era stato scomunicato dal papa e dichiarato decaduto da ogni diritto alla successione.
Gli stati generali proclamarono a Blois il principio di cattolicità, e il divieto totale ed assoluto di far salire un eretico sul trono di Francia.

Tuttavia, Enrico III sapeva bene che le leggi fondamentali erano inespugnabili, e riconobbe suo erede il cognato Enrico di Navarra, il cui solo mezzo per divenire re Enrico IV fu di abiurare l’eresia presunta ed abbracciare il cattolicesimo; si fece consacrare a Chartes col nome di Enrico IV a febbraio del 1594 e l’anno seguente fece levare dal papa la scomunica che o aveva colpito.



Edited by Liselotte von der Pfalz - 19/11/2014, 16:39
 
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