La Cour Royale

Posts written by Liselotte von der Pfalz

view post Posted: 6/1/2014, 14:40     Élisabeth-Charlotte von der Pfalz Simmern, Duchesse d'Orléans. Una cognata del Re Sole - Personaggi
10 dicembre 1689, A Sofia di Hannover, riferendosi a m.me de Maintenon

"[...] Non credo si possa trovare al mondo un diavolo più cattivo di lei, con tutta la sua devozione e la sua ipocrisia. Mi accorgo che fa dire la verità a quel vecchio proverbio tedesco: dove il diavolo non può arrivare manda una vecchia. Tutti i mali vengono da quella vecchia mona […]"

Il 4 dicembre Dangeau nota nel suo giornale: “[…] il Re ha dato a Monseigneur 2000 pistole per le strenne, altrettante a Madame la Delfina e a Monsieur; […] Madame non ha avuto nulla […]”

Zia Sofia e zio Ernesto Augusto le rimproveravano di scrivere troppo liberamente, mettendola in guardia per quanto possibile, ma Liselotte, brava donna e tanto cara, non ha mai avuto in sorte l’istinto del diplomatico, e l’ha pagata cara perché il cabinet noir mandava al Re ed alla vecchia gli estratti più interessanti della sua corrispondenza.
view post Posted: 6/1/2014, 12:34     Il dizionario delle etichette di Corte, di madame de Genlis - letteratura
Stéphanie-Félicité de Saint-Aubin, più nota con i nomi da sposata di contessa de Genlis prima, e marchesa de Sillery dopo, fu una scrittrice prolifica; i suoi ottanta e più lavori spaziano dal romanzo alle memorie (sue proprie ma anche no), alle novelle, agli argomenti come l’educazione dei ragazzi.

Un testo abbastanza curioso è il dizionario delle etichette di Corte che viene pubblicato nel 1818, e il cui titolo esatto è:

Dictionnaire critique et raisonné des étiquettes de la cour, des usages du monde, des amusemens, des modes, des moeurs, etc. des Français, depuis la mort de Louis XIII jusqu'à nos jours. Contenant le tableau de la cour, de la société et de la littérature du dix-huitième siècle, ou l'Esprit des étiquettes et des usages anciens comparés aux moderne.

Accanto a voci come “Presentazione a Corte”, “Principi del Sangue”, “Habit de Cour (Grand)”, troviamo articoli su “Elemosine”, “Virtù”, “Delicatezza” o anche “Neologismo”, “Scultura”, “Satira”. L’autrice ha ritenuto opportuno, giustamente, mettere due indici alla fine del secondo tomo: uno per argomenti, diviso in “Etichette, usi e mode”, “Morale e costumi” e “Letteratura, belle arti e arti industriali”; il secondo, invece, è in mero ordine alfabetico.

Le voci non sono delle spiegazioni degli usi più comuni della Corte, né sono una sorta di chiave per capirne a fondo i misteri (soprattutto di quella pre-rivoluzione), per quanto forniscano molte informazioni certamente interessanti: tutto il libro dà piuttosto l’idea di essere un lungo sospiro di rimpianto per il bel tempo che fu della contessa, e un modo come un altro per pontificare su qualsiasi cosa, possibilmente attribuendosi ove possibile il ruolo dell’eroina o del deus ex machina. Ne è un esempio la voce “Arpa”, nella quale m.me de Genlis inserisce una nota a piè di pagina corposa quasi quanto l’articolo stesso:

Arpa: l’arpa è il più bello degli strumenti, dopo che è stato perfezionato da un giovane (1), che, dall’età di sedici anni, ha mostrato con fulgore tutto ciò che si poteva fare su questo strumento, la cui forma è così elegante e i suoni così incantevoli, che è il solo che l’immaginazione abbia osato porre in cielo, e mettere nelle mani degli angeli.
Le Sante Scritture ci mostrano Davide che calma con l’arpa i furori di Saul, e facendo anche un miracolo più grande, quello di dissipare l’odio di un invidioso. Quando il geloso Saul ascoltava Davide, smetteva di odiarlo. Quest’ultimo incanto, il più desiderabile di tutti, manca ancora all’arpa moderna!... Le Scritture ci dicono anche che il profeta Eliseo, prima di parlare al Signore per dargli una risposta, fece venire un suonatore di arpa; e che, mentre lo ascoltava, la mano del Signore fu su di lui e che dopo profetizzò. (I Re, libro 4, cap. 3).
L’arpa non passerà mai di moda; al contrario, per quelli che iniziano oggi a suonarla sono abbastanza giovani da adottare il buon metodo, per suonare con dieci dita, fare i suoni armonici a due mani, studiare i passaggi difficili con la mano destra come con la sinistra, e diventare col tempo degli eccellenti professori di quest’ammirevole strumento.
In ogni cosa, non basta aprire una bella strada nuova perché sia prontamente percorsa, l’abitudine e l’amor proprio trattengono la persona ancora a lungo su quella cattiva; ma infine si finisce prima o dopo per prendere la buona.”

E, a piè di pagina… o meglio, di due pagine:

(1): Casimir Baecker, allievo dell’autore di quest’opera.
Ha cambiato la maniera di montare le arpe mettendovi delle corde molto più grosse e più tese, cosa che ha quadruplicato l’intensità del suono. Prima di lui, per suonare l’arpa, ci si sedeva su una sedia così bassa, che la console dell’arpa copriva almeno la metà del viso. Ha dimostrato che, per la facilità dell’esecuzione della mano destra, bisogna essere seduti, in modo che la testa e una parte del collo possano sovrastare l’arpa, cosa che d’altronde rende l’attitudine molto più bella, e previene i pericoli per il portamento, che risultavano comunemente dalla vecchia posizione. Ha provato suonando che ci si può servire, sull’arpa, dei due mignoli come sul piano, e che si può suonare, in suoni armonici, con le due mani, delle sonate intere con un grande movimento; che i pezzi più difficili possono essere suonati con l’arpa, e che si possono avere su questo strumento le due mani perfettamente uguali. Ha scoperto che una stessa corda può produrre molte note differenti. Ha inventato un gran numero di effetti nuovi, e una cadenza lunga e sostenuta, durante la quale le tre altre dita della stessa mano eseguono delle brisés semplici e doppie: lo fa con uguale perfezione con tutte e due le mani. Nessuno ha potuto ancora imitare questa cadenza, così come un’infinità di altri passaggi ed effetti incantevoli e straordinari di sua invenzione.
M. il conte di Laborde, con tutte queste invenzioni, ha perfettamente spiegato in una brochure, che fu pubblicata qualche anno fa, diversi passaggi dei libri greci sulla lira antica, che fino ad allora erano parsi inintelligibili e inesplicabili. Questa brochure è così piacevole e così curiosa, che è stata tradotta in inglese. “

Notare il “allievo dell’autore di quest’opera” e confrontare il tutto con le due righe dedicate alla brossura del Laborde.

Edited by Liselotte von der Pfalz - 6/1/2014, 14:16
view post Posted: 6/1/2014, 12:22     Françoise d'Aubigné, Madame de Maintenon, 1635-1719 - Personaggi
Sempre Liselotte, a zia Sofia scriveva:

[...] Non posso tacere a Vostra Grazia che la Corte sta diventando talmente noiosa che non ci si può più stare, poiché il Re s’immagina che sia pio fare in modo che la gente si annoi per bene [...]. Per conto mio non posso credere che si possa servire Nostro Signore a furia di amare le vecchie e di lamentarsi di tutto; se è questa la via del Paradiso farò molta fatica ad arrivarci. È una miseria quando non si vuole più seguire la propria ragione, e non ci si fa guidare che da preti interessati e da vecchie cortigiane [...]
view post Posted: 6/1/2014, 12:09     Françoise Marie de Bourbon, Duchessa d’Orléans. La moglie del Reggente - Personaggi
Da: Souvenirs de la Marquise de Créquy

"[…] Delle quattro figlie che rimasero a M. le Duc d'Orléans ce n’è una che divenne Duchessa di Modena, e che voleva muovere causa al marito per impotenza, nonostante avessero parecchi figli, mentre lui la faceva perseguire per supposizione di paternità.
Un’altra è stata regina di Spagna, e vedova quasi subito appena sposata; non voleva farsi vedere che in camiciola, e non voleva far società che con i suoi valletti di più bassa estrazione, e finirono per rispedirla in Francia come un’indegna e cattiva pazza qual era.
Poi c’era la badessa di Chelles (Mme la Duchesse d'Orléans la conosceva abbastanza bene per avere preteso assolutamente che ne facessero una reclusa), e poi arrivava Mademoiselle de Beaujolais, che han fatto morire dalla disperazione.
Era la più ragionevole e normale della famiglia, si dice che amasse appassionatamente e con costanza un Infante di Spagna, e non so come avrebbe conservato questa passione, poiché il duca di Richelieu le aveva fatto girare la testa e le scrivesse delle cose che facevano arrossire perfino la carta. Mademoiselle de Beaujolais era bella, spirituale e di buon animo, e malgrado queste sue alzate di ingegno e quelle che suo padre chiamava bambinate, tutti l’hanno rimpianta.
[…]"

Edited by Liselotte von der Pfalz - 30/10/2014, 19:15
view post Posted: 6/1/2014, 12:07     Marie-Louise-Élisabeth d'Orléans, Duchessa de Berry - Personaggi
Da: Souvenirs de la Marquise de Créquy

“[...] Tutto considerato, credo che la Duchessa de Berry fosse ancora meglio delle sue sorelle, la Regina di Spagna e la Duchessa di Modena. La badessa di Chelles era un’altra matta che era stato necessario piazzare dietro una grata.
Il loro amabile fratello il Duca di Chartres era l’uomo più insipido e taccagno del mondo, tutto assieme, visto che aveva trovato il modo di riunire queste due qualità disparate. Aveva iniziato facendo il bigotto per spirito di contraddizione; voleva dire le sue orazioni solo in ebraico, digiunava e mangiava di magro nei giorni di Pasqua, e quando andava a far delle prediche alla Duchessa de Berry, sua sorella, non mancava di schiaffeggiarla, cosa che divertiva molto il loro padre. Non si era mai visto nulla di simile a questa famiglia d’Orléans, ma non vi dirò nemmeno la metà del male che se ne diceva in giro
[…]”
view post Posted: 6/1/2014, 11:27     Françoise d'Aubigné, Madame de Maintenon, 1635-1719 - Personaggi
Dalle lettere di Liselotte:

"[...] Dio onnipotente ha liberato la Francia intera da una cattiva bestia feroce, perché s'è preso la Scarron; non posso dire che l'abbia chiamata a Sé, la cosa mi sembra un po' dubbia [...]" (19 ottobre 1719)
view post Posted: 5/1/2014, 23:17     Françoise Marie de Bourbon, Duchessa d’Orléans. La moglie del Reggente - Personaggi
Un luogo comune vuole che le suocere disprezzino le nuore, ma se una suocera descrive la nuora in questi termini: “Mia nuora somiglia a un culo come due gocce d’acqua” non si può certo parlare di rapporti idilliaci; se poi il marito della suddetta nuora la ribattezza Madame Lucifer il quadro è perfetto. Quale donna può essersi attirata tanti strali?

Françoise Marie de Bourbon nasce il 9 febbraio 1677 (secondo il Père Anselme il 4 maggio) al castello di Maintenon, come ennesima figlia del duplice adulterio di Luigi XIV e della marchesa de Montespan. In gioventù è soprannominata Mademoiselle de Blois (la seconda, perché la prima era Marie Anne, figlia del Re e di madame de La Vallière, nata undici anni prima della sorellastra).

M.me de Montespan non fu mai una madre modello, e m.me de Caylus ci racconta nei suoi Souvenirs che la madre, nota per la sua bellezza, disprezzava la figlia perché era brutta; d’altra parte, tanto Françoise Marie quanto suo fratello minore, Louis Alexandre conte di Tolosa, sono i frutti della riconciliazione con il Re dopo un periodo di allontanamento voluto dalla Chiesa, e per conseguenza l’allevatrice degli altri bastardi della coppia, m.me de Maintenon, si rifiuta di crescere questi due giacché figli dello spergiuro nei confronti della Chiesa oltre che del peccato della carne, e alla madre questo non piace. La loro legittimazione per mezzo di regie lettere patenti nel novembre del 1681 rappresenta il benservito della marchesa, allontanata definitivamente dopo il suo coinvolgimento nell’Affare dei Veleni.

Il Re aveva a disposizione una nidiata di bastardi di diversa origine, e perseguendo una politica che da un lato mirava ad abbassare la grande nobiltà del regno e dall’altro a innalzare i suoi cuccioli a scapito di chiunque, decide di piazzare anche Françoise Marie con un partito di tutto rispetto non appena fosse possibile; nel 1680 aveva già fatto sposare la quattordicenne Marie Anne, prima Mademoiselle de Blois, a suo cugino Louis Armand de Bourbon, Principe di Conti; nel 1685 affibbia la quasi dodicenne Louise Françoise de Bourbon, ex Mademoiselle de Nantes, a un altro cugino, Louis III de Bourbon-Condé, Duca d’Enghien, nipote del Gran Condé. A Françoise Marie va meglio che alle sorelle, si sposa a quattordici anni. Non che le importasse molto con chi, Saint-Simon ci riposta la famosa frase: “je ne me soucie pas qu’il m'aime, je me soucie qu'il m’épouse!”; il prescelto è nientemeno che il figlio del fratello del Re, il giovane Philippe, Duca di Chartres. Per il Re non fu semplice imporre la propria volontà al fratello, gli costò una dote di due milioni di livres, la concessione del Palays Royal, e l’abbassarsi a chiedere l’intercessione del cavaliere di Lorena, che era l’amante del fratello, per obbligarlo a cedere alla mésalliance. Convincere Madame, Duchessa d’Orléans, la madre dello sposo, fu quasi impossibile e di fatto venne messa davanti all’affare concluso. Saint-Simon ci lascia un racconto molto gustoso che parla di figli titubanti, schiaffoni roboanti e terga piroettanti; è probabilmente un episodio abbellito dall’abilità narrativa del duca, ma è rimarchevole. Il 18 febbraio 1692 si consuma il misfatto nella cappella di Versailles, e Françoise Marie diventa Duchessa di Chartres. Il matrimonio fu disastroso, dati i presupposti, ma non di meno fu prolifico: Philippe e Françoise Marie ebbero otto figli.
  1. N. d’Orléans, detta Mademoiselle de Valois (Marly, 17.12.1693 - Palais Royal, 17.10.1694);

  2. Marie Louise Élisabeth d'Orléans, detta Mademoiselle de Chartres, poi Mademoiselle (Versailles, 20.08.1695 - castello de La Muette 21.07.1719), sposa nel 1710 suo cugino Charles, Duca de Berry, figlio del Gran Delfino;

  3. Louise Adélaïde d’Orléans, detta Mademoiselle de Chartres, poi Mademoiselle d’Orléans, poi Mademoiselle (Versailles, 13.08.1698 - Parigi, 10.02.1743), diventa badessa dell’abazia di Chelles il 14.09.1719;

  4. Charlotte Aglaé d’Orléans, detta Mademoiselle de Valois poi Mademoiselle (Parigi, 22.10.1700 - 19.01.1761), sposa nel 1720 Francesco Maria d’Este-Modena, duca di Modena;

  5. Louis d’Orléans, Duca di Chartres, puis d’Orléans, soprannominato “il pio” o anche Orléans Sainte-Geneviève” (Versailles, 4.08.1703 - Parigi, 4.02.1752);

  6. Louise Élisabeth d’Orléans, detta Mademoiselle de Montpensier e poi Mademoiselle (Versailles, 11.12.1709 – Parigi, 16.06.1742), sposa nel 1722 suo cugino Luigi I, re di Spagna, figlio di Filippo V;

  7. Philippe Élisabeth Charlotte d’Orléans, detta Mademoiselle de Beaujolais (Versailles, 18.12.1714 - castello di Bagnolet, 21.05.1734);

  8. Louise Diane d’Orléans, detta Mademoiselle de Chartres (Parigi, 27.06.1716 – Issy-sur-Seine, 26.09.1736), sposa nel 1732 suo cugino Louis François de Bourbon-Conti, Principe di Conti.

Philippe tradiva allegramente la moglie, gli si contano come minimo tre o quattro figli bastardi avuti da diverse amanti, e fu proprio una lite tra il Re e suo fratello per le continue infedeltà del giovane Chartres l’origine dell’apoplessia che costò la vita a Monsieur. Françoise Marie se ne preoccupava ben poco, comunque sia, occupata com’era a fare finta di non essere bastarda e a trattare male tutti quanti, dalla cognata Élisabeth-Charlotte, futura duchessa di Lorena, alla sorella Madame la Duchesse, che le ricambiava perfettamente l’odio viscerale.

Françoise Marie non era quello che si dice una donna spigliata: pigra, golosa, indolente, e orgogliosa come un diavolo, passava le sue giornate sdraiata sul divano; di fatto, dopo la morte del suocero nel 1701, era la terza dama di Francia dopo la Duchessa di Borgogna e la suocera, Madame, ma nulla la spronò mai a usare la sua posizione a Corte in maniera costruttiva, al punto che nel 1710, in occasione delle trattative per il matrimonio del Duca de Berry, ebbe un violento alterco con la sorella: entrambe avevano figlie in età da marito, e a tutte e due faceva gola l’idea di accaparrare un Figlio di Francia, tra i primi in linea di successione al trono. La Duchessa d’Orléans riuscì a prevalere, appoggiandosi strategicamente alla Duchessa di Borgogna e a m.me de Maintenon, e Mademoiselle divenne così Madame la Duchessa de Berry: la ragazza seppe come essere grata alla madre, umiliandola a ogni minima occasione, in pubblico come no, e conducendo una vita debosciata che la usurò molto in fretta e la condusse alla morte a ventiquattro anni.

Le qualità materne di Françoise Marie erano perfino inferiori a quelle di sua madre, e i figli le votavano disaffezione ed indifferenza nella migliore delle ipotesi; va detto che erano tutti abbastanza singolari e male allevati, per esempio Charlotte Aglaé fu spedita in fretta e furia a sposare il duca di Modena perché i suoi amori col duca di Richelieu facevano troppo rumore; oppure Louise Élisabeth fu rispedita in Francia dopo essere rimasta vedova del re di Spagna in quanto persona difficile da gradire, e anche Mademoiselle de Beaujolais fu impacchettata e rispedita in Francia dal Principe delle Asturie.

Muore il primo gennaio del 1749, ed viene sepolta nella chiesa della Madeleine de Tresnel, a Parigi.

Edited by Liselotte von der Pfalz - 1/1/2016, 01:10
view post Posted: 5/1/2014, 09:23     Anna di Baviera, Principessa di Condé - Personaggi
Ancora nei Mémoires di Mademoiselle de Montpensier:

[…] Non si parlò, in tutte le lettere, che di queste nozze, delle magnificenze che furono fatte all’hôtel de Condé, dove il Re, le regine e tutta la corte avevano cenato; che vi fu ogni sorta di divertimento; la regina di Polonia aveva inviato dei gioielli di una bellezza straordinaria (infine, erano delle meraviglie); che Madame la Duchesse sarebbe andata a due carrozze, come me, e questa era una novità. Del resto, lei faceva come sua suocera, che era disperata per questo matrimonio: lei sosteneva con passione mia sorella d'Alençon, e non aveva torto, e ci si meravigliò molto che M. le Prince avesse preferito il denaro e i gioielli di Polonia al rango di una Nipote di Francia: in quanto, per la persona, Madame la Duchesse non è più bella di mia sorella, e, per non essere gobba, ha la figura abbastanza sgradevole per lasciar immaginare che svestita non sia fatta meglio. Madame de Choisy fece un gesto ridicolo su questo matrimonio. Era stata tutta la vita legata alla regina di Polonia, era cresciuta con lei, la chiamava mia regina; era amica della palatina, non viveva che per lei. Un giorno entrò nello studio di M. le Prince, con una cappa, chiuse la porta e gli disse: “Non siete ammattito per voler sposare vostro figlio con la figlia della palatina invece che con mademoiselle d'Alençon?” Gli disse ogni cosa contro questo matrimonio, e molte cose personali contro madame la palatina, e gli fece vedere che differenza c’era; per quello, è vero; ma non era il caso. La cosa si riseppe, e fu molto canzonata; fu tutto quello che ne ricavò. […]
view post Posted: 4/1/2014, 22:35     Anna di Baviera, Principessa di Condé - Personaggi
Dai Mémoires di Mademoiselle de Montpensier un racconto non troppo felice delle sulle nozze di Anna di Baviera:

[...] M. le Prince fece sposare M. le Duc con la seconda figlia della principessa palatina, e la regina di Polonia le diede molti beni e l’adottò come figlia; cosicché M. le Prince si ritenne così fortunato di questa unione che sembrava fosse stato un miserabile in confronto a sua nuora. Tutti erano stupefatti di vedere M. le Prince così intestardito sulla palatina: perché non lo era stato sempre; aveva rotto con lei con un gran disprezzo, e se ne era lamentato molto, ne aveva detto cose che non erano molto belle. Per me fui stupefatta da questo matrimonio, dopo tutto quello che gli avevo sentito dire; ma non bisogna stupirsi di nulla a questo mondo, e meno ancora di M. le Prince che di un altro, dopo come si era comportato con me e come io mi ero comportata con lui, e che si vedrà a tempo e luogo, a mio grande dispiacere tanto per amor mio quanto per amor suo. Mandò un gentiluomo per farmi parte del matrimonio; mi scrisse, e anche M. le Duc. Madame la principessa palatina mi fece l’onore, in questa occasione, di chiamarmi sua parente nella lettera che mi scrisse. Sottolineava “l’onore che ha mia figlia, e per M. suo padre per me”. Le risposi senza inizio e senza fine, e non misi alcun indirizzo. Scrissi alla regina madre e la supplicai di domandare al Re come bisognava trattarla, e che mi facesse l’onore di farlo mettere [dove lasciato in bianco sulla lettera] non volendo fare nulla che gli dispiacesse né che contrariasse la palatina. Agendo così mostrai al Re una grande sottomissione, e lo facevo ricordare di me; alla regina un rispetto per lei, perché amava la palatina, alla quale ero felice di testimoniare della considerazione, imparentandosi con M. le Prince, che aveva dei gran riguardi nei miei confronti; così questa cortesia aveva diversi fini. Il Re fece scrivere come agli altri principi stranieri che sono in questo reame, ossia come a tutti gli ufficiali della Corona. [...]

Edited by Liselotte von der Pfalz - 3/11/2014, 12:07
view post Posted: 26/12/2013, 17:50     Il cappello (Traduzione estratta da un articolo di m.me Béatrix Saule) - L'etichetta di Corte
La corona non era di uso comune nella vita quotidiana, lasciando via libera a un altro copricapo: il cappello. Non si trattava di un vero emblema del potere, casomai un segno di dignità che ciascuno doveva possedere (solo un malato come Courcillon poteva esserne dispensato). Ma il fatto di coprirsi o scoprirsi il capo era una questione delicata e per giunta, per noi, complicata da un’iconografia fallace. Così vediamo Luigi XIV rappresentato al festino per il matrimonio del Duca de Berry sotto un baldacchino e con un cappello in testa, pura convenzione poiché di fatto nessun baldacchino era stato innalzato nell’anticamera dell’Oeil-de-Boeuf, e il Re era sempre scoperto a tavola; ma l’immagine che l’incisore si faceva della maestà reale lo esigeva senza dubbio. Al contrario, era comunemente ammesso che scoprirsi fosse un segno di rispetto, che d’altronde m.me de Genlis, piccandosi di erudizione nel suo trattato De l’esprit de l’étiquette, faceva risalire “[…] all’Antichità e ai sacrifici offerti a Ercole, dove era espressamente vietato avere il capo velato […]”. Ma, senza cercare così lontano, qual era l’uso alla Corte di Francia? Saint-Simon, che come sappiamo ebbe diverse occasioni, per interessarsi alla cosa, scrive: “[…] Anticamente tutti erano coperti davanti ai nostri re. […]”. Poi, in modo impercettibile, l’uso cominciò a cambiare, a partire dal regno di Luigi XII secondo Sainctot, con l’evoluzione della moda, l’abbandono dello chaperon (che era difficile da togliere) poi il passaggio al berretto, al tocco e al cappello. Finalmente fu sotto Enrico III che s’impose l’uso di essere a testa scoperta davanti al re, a sua volta coperto.

A Versailles, come d’altra parte nelle altre dimore reali, Luigi XIV (il cui cappello bordato di punto di Spagna era ornato da un bottone di diamanti e da un pennacchio bianco) era normalmente a capo scoperto all’interno e si copriva all’esterno, e ci si doveva scoprire davanti a lui; queste regola dell’etichetta aveva però larghe eccezioni che venivano dal cerimoniale, dal protocollo e anche dalle regole del vivere civile.
Per le cerimonie che si tenevano a Versailles, e in particolare per quelle dell’Ordine del Saint Esprit, tutti i cavalieri erano coperti tanto ai capitoli quanto ai festini dell’Ordine; per le prestazioni di giuramento il re era coperto mentre la persona che lo prestava, come nei giuramenti di fedeltà del vassallo che prestava omaggio al suo signore, si spogliava dei suoi segni di dignità, ossia spada e cappello (che, tra parentesi, erano presi da un valletto della camera, poi resi contro una non disprezzabile somma che andava dalle sette alle ottomila livres).

Quanto al protocollo utilizzato per il ricevimento dei principi o degli ambasciatori, “[…] parlare al re coperto o scoperto […]” costituiva uno dei diciannove segni di distinzione riportati nel Cérémonial français di Godefroy. Il re stesso teneva il cappello in testa se riceveva un sovrano o un rappresentante; i principi si coprivano per i rappresentanti, sottolineando così la loro superiorità, ma non per i sovrani, cosa che faceva sì che si astenessero dall’essere presenti in quei casi.
Se il principe straniero era in incognito, tuttavia, per rispettare questa condizioni il re e tutti i presenti erano a testa scoperta. Era stato deciso così anche per il ricevimento di ambasciatori che portavano turbanti, che non toglievano mai, poiché il rivolgere dei complimenti ufficiali dava luogo a tutto un gioco di cappelli che ci si levava e rimetteva.
Se l’etichetta voleva che si fosse scoperti in presenza del sovrano, si sa lo esigeva anche in sua assenza, nella camera del re, ma anche nella stanza dove era predisposta il suo coperto. Courtin, nel suo Nouveau traité de civilité del 1671, diceva ai suoi lettori: “Avere il cappello in testa nella stanza dove è stato messo il coperto del re o della regina è esporsi a un affronto, e bisogna anche scoprirsi quando gli ufficiali portano la nave e il coperto, e passano davanti a voi.”. Le regole della buona educazione intervenivano ancora sull’uso del cappello; prescrivevano “di avere la testa nuda nelle sale e nelle anticamere”, cosa che doveva essere generalmente seguita a Corte. Prescrivevano ugualmente di essere coperti a tavola, uso esclusivamente francese, che era osservato alla tavola dei principi ma non a quella del re, tranne quando il sovrano si trovava sui campi militari dove lui stesso era a capo scoperto ma non gli ufficiali suoi commensali, gesto che non ha una spiegazione. Le buone maniere prescrivevano inoltre che se si era coperti si doveva far coprire la persona con la quale si stava parlando, “quando vi fosse inferiore di molto, se non fosse alle vostre dipendenze”.

Era così che, per pura cortesia, Luigi XIV, che a Marly si considerava come un semplice privato, autorizzava tutti quelli che lo seguivano durante le passeggiate a coprirsi (« Messieurs, le chapeau!»), nonostante fossero suoi sottoposti; esattamente come all’esterno si toglieva il cappello davanti a qualsiasi donna, anche fosse stata l’ultima delle serve. Filippo V sconvolse gli Spagnoli imitando il nonno, per loro il fatto di poter indossare il cappello è estremamente importante. E a Vienna, invece, il copricapo imperiale godeva di particolari riguardi: una tavola, chiamata “tavola del cappello”, era destinata a riceverlo quando il sovrano lo toglieva.







Da: Insignes du pouvoir et usages de cour à Versailles sous Louis XIV, di Béatrix Saule,
in Bulletin du Centre de recherche du château de Versailles



Edited by Liselotte von der Pfalz - 1/1/2016, 01:11
view post Posted: 26/12/2013, 17:42     Il cappello - Bibliografia

  1. Béatrix Saule, Insignes du pouvoir et usages de cour à Versailles sous Louis XIV

  2. Stéphanie-Félicité Du Crest de Saint-Aubin, contessa de Genlis, De l’esprit des étiquettes, Mercure de France, 1996

  3. Antoine de Courtin, Nouveau traité de la civilité qui se pratique en France parmi les honnêtes gens, Paris, 1671

  4. Louis de Rouvroy, duca di Saint-Simon, Mémoires

  5. L. Bély, La Société des princes, Paris Fayard, 1999 citando: Cérémonial français recueilly par Théodore Godefroy et mis en lumière par Denys Godefroy, advocat au Parlement et Historiographe du Roy, Paris, 1649,


view post Posted: 25/12/2013, 19:30     Il letto reale - Bibliografia

  1. Béatrix Saule, Insignes du pouvoir et usages de cour à Versailles sous Louis XIV

  2. Monique Chatenet, La Cour de France au XVIme, Paris, Picard, 2002

  3. Louis de Rouvroy, duca di Saint Simon, Mémoires

view post Posted: 25/12/2013, 19:24     Il letto reale (Traduzione estratta da un articolo di m.me Béatrix Saule) - L'etichetta di Corte
La meccanica reale era composta di gesti e oggetti, anche minimi; l’oggetto di maggiore importanza della vita quotidiana della Corte era il letto del re, a dispetto della concezione molto diffusa secondo la quale fosse il trono.

Quando un cortigiano passava davanti al letto reale doveva salutarlo, le dame gli facevano la riverenza; in caso di assenza del sovrano era sorvegliato da un valletto della camera per evitare che qualcuno potesse avvicinarvisi. Ricordando che tutti potevano accedere a Versailles, a patto che indossassero una spada e un cappello (c’era chi li noleggiava a chi ne fosse sprovvisto) e la stanza da letto del Re, al di fuori dei momenti nei quali vi era il sovrano, era aperta a chiunque ma lo stesso rispetto dovuto al letto era esteso al locale: gli uscieri prestavano attenzione a che i visitatori avessero un comportamento degno del luogo, che evitassero di mettere il cappello, di pettinarsi e sedersi o, peggio ancora, sputare oppure masticare o fiutare tabacco. L’importanza data al letto era legata alla nozione di “letto di Stato”, al fatto che, dopo il Medio Evo, il letto del re era la sede del potere reale; posto nella camera di parata, stanza pubblica dove si trattavano i grandi affari del regno mentre il sovrano disponeva di un’altra stanza per la notte, ovviamente privata.

Secondo quanto dimostrato dalla studiosa Monique Chatenet è a partire dal XVImo secolo, secondo una moda di probabile origine italiana, il letto fu protetto da una barriera, detta balaustra o balaustrata, che separa l’alcova dal resto della stanza e che talvolta, come per esempio nella camera da letto del re al Louvre, è sostituita da una pedana, da una zona rialzata. Il letto era accompagnato da una sedia piazzata all’intero della balaustra, o sulla pedana, che serviva da seggio sul quale il re compiva atti di sovranità e faceva effettivamente le funzioni di un trono.

Dove si trovava il letto a Versailles? A partire dal 1701 è nello stesso posto che occupa tuttora, al centro del castello, ma prima? Quello che accadde prima fa capire come abbia rivestito un valore simbolico ancora maggiore.

A Versailles, la prima distribuzione del Grande Appartamento del Re (che occupò a partire dal novembre 1673) corrispondeva alla disposizione tradizionale con camera pubblica (all’epoca era il Salone di Apollo) e camera privata (il Salone di Saturno). Poi, dal 1680 o 1681, si assiste a un duplice cambiamento: da una parte il Salone di Mercurio rimpiazza il salone di Apollo come camera ufficiale, e dall’altra la camera da letto privata ritorna nella parte più vecchia del castello che dà sulla Cour de Marbre, dove avrebbe occupato d’altronde differenti postazioni. Durante il decennio 1690 - 1700 che vede fissarsi gli usi della Corte a Versailles, dopo che la balaustra d’argento venne fusa e che per la comodità di dare maggiore spazio per le serate di appartamento che vi si tenevano da Ognissanti a Pasqua, il letto fu spostato dal salone di Mercurio che conservò il nome “camera del letto” pur non essendolo più di fatto; da allora il letto della camera piccola divenne letto di Stato. Le riverenze delle dame che, come ci dice il duca de Luynes, si facevano dapprima davanti al letto del salone di Mercurio, gli furono continuate, e poiché rimaneva il letto della notte, quello del corpo del re, continuò ad essere protetto da una guardia permanente. La scultura che Coustou modellò sopra il letto reale, raffigurante “la Francia che veglia sul sonno del Re” consacra questo doppio significato simbolico di letto di Stato e di letto del corpo.
Senza entrare nel dettaglio di chi avesse o non avesse il diritto di entrare in quello spazio privilegiato che era l’interno della balaustra, ricordiamo che era lì che il re riceveva gli ambasciatori (non quelli dei paesi esotici) in udienza di cerimonia per la loro presentazione, e davanti alla balaustra i sovrani stranieri, le corti sovrane e prestazioni di giuramento.
Tuttavia, alla morte del re, per comodità in ragione dell’affluenza, il letto di morte dove fu esposto il corpo dopo essere stato imbalsamato fu preparato nel salone di Mercurio; invece la proclamazione della continuità dinastica (“Il re è morto, viva il re!”) si faceva dal balcone sulla Cour de Marbre.






Da: Insignes du pouvoir et usages de cour à Versailles sous Louis XIV, di Béatrix Saule,
in Bulletin du Centre de recherche du château de Versailles



Edited by Liselotte von der Pfalz - 7/6/2015, 21:56
view post Posted: 20/12/2013, 15:17     Françoise-Athénaïs de Rochechouart de Mortemart, marchesa di Montespan - Personaggi
CITAZIONE (marquise de Créquy @ 19/12/2013, 20:53) 
Insomma come quello che accadde per la Pompadour?

Penso prorpio di si, anche se non ho mai trovato traccia delle documentazioni su m.me de Pompadour.

Il fatto è che per renderle delle vere duchesse sarebbe stato necessario nominare duchi i mariti, e Luigi XIV avrebbe preferito dar fuoco al povero Montespan, piuttosto: così avrebbe avuto anche la tranquillità di avere un'amante vedova. Luigi XV, invece, credo non si ricordasse nemmeno che da qualche parte esisteva un tizio chiamato M. d'Etioles, forse più per comodo che altro.

Ci sarebbe stata la scappatoia del ducato parìa femmina, ossia di una parìa che potesse passare per linea ereditaria femminile e anche esere attribuita ad una donna, come il ducato di La Vallière o il ducato di Aiguillon: è stato fatto così per m.me de La Vallière, ma tutto sarebbe caduto sul Montespan in ogni caso; per m.me de Pompadour non c'era nemmeno quella possibilità: le parie femminili sono state soppresse da Luigi XIV con la riforma del 1711
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